Nell’agosto del 2006, dieci anni fa, quasi la preistoria, mandai un messaggio urbi et orbi dal titolo “L’arca di Noé” in cui raccontavo la variegata vita animale del giardino di Villa Mergellina a Sanremo, all’epoca egregiamente governato dalla sua proprietaria-padrona-giardiniera-mamma Donatella. C’erano due gatti, Musetto e Codamozza, i merli, le gazze, i piccioni, i pettirossi, i ricci, le lumache, le zanzare, i gechi, i topolini…

Ora Donatella non c’è più, Musetto e Codamozza nemmeno, i ricci pure sono spariti. Ma di gatti ora ce ne sono ben cinque e pur con tutte le manchevolezze derivanti dall’essere io presente a Sanremo solo part-time, grazie anche alla buona volontà della Ziagatta Loredana, il giardino continua a essere un luogo affollato di animali che sembrano trovarsi bene in questo piccolo ambiente di alberi, cespugli ed erbe in perenne disordinato disordine. Insomma, l’Arca continua a navigare con dignità tra le procelle dell’esistenza.

Oggi come allora, oltre ai passeggeri dell’Arca più importanti ve ne sono altri che sembrano stare un po’ in secondo piano pur essendo anch’essi membri a pieno titolo della ciurma, diciamo così.

Per esempio le formiche: le formiche di Sanremo sono famose da decenni, almeno da quando Italo Calvino scrisse il racconto “La formica argentina”, nel 1952, e negli anni Settanta, in cui i miei nonni materni vissero a Sanremo – da bravi piemontesi in pensione – in un appartamento a due passi dalla Chiesa Russa, ricordo che mia nonna spesso si lamentava delle formiche che entravano in casa e in cucina, piccole e ineliminabili.

Non sono certissimo che le infaticabili formichine nere che in queste settimane di fine estate frequentano la cucina per farsi le ultime scorte di cibo per l’inverno siano le famigerate formiche argentine (una delle specie animali più invasive e infestanti al mondo, i mirmecologi dicono che formano delle megalopoli di miliardi di individui collegate tra loro quasi ininterrottamente dal Portogallo alla Liguria) comunque ci sanno fare: entrano in cucina dalla finestra, chiusa o aperta per loro che sono piccine poco importa perché trovano le fessure, si dirigono verso il lavandino, talvolta il tavolo, più raramente i fornelli a cercare provviste e ne trovano spesso perché basta qualche briciola, qualche pezzetto di cibo dei gatti sparso sul tavolo o incautamente lasciato nei barattolini vuoti ma non perfettamente puliti. Le più stanno in giardino dove nottetempo si affollano a decine intorno ai croccantini (contendendoli alle lumache e alle chiocciole alle quali sono ufficialmente destinati), in cucina in realtà ne arrivano molte di meno. Sinceramente le trovo affascinanti, ne ammiro la rapidità con cui compaiono quando c’è qualcosa di commestibile a disposizione e come se ne vanno silenziosamente quando hanno raccolto tutto. Normalmente se a sera trovo un crocicchio di formiche intorno a un pezzetto di cibo dei gatti abbandonato sul tavolo o in terra, le lascio stare, penso “mangiate e quando avrete finito ve ne andrete” e infatti al mattino non trovo più niente e nessuno perché nottetempo si sono portate via tutto.

Le reazioni casalinghe all’annuale mini invasione delle formiche sono-erano diverse: Dona brontolava, non le sopportava, si incazzava ma cercava di metterle fuori dal davanzale o in giardino, le raccoglieva una a una senza ucciderle. Io le sopporto molto di più e non mi scandalizzo se devo condividere con loro il lavandino però ogni tanto, quando sono troppe, “me vegne un scciuppùn de futta” come diceva Govi (per i non genovesi: “mi viene uno scoppio di rabbia”) e ne accoppo alcune, le avanguardie, quelle che si spingono solitarie in zone della cucina lontane e deserte. Le schiaccio e le ammazzo. Unum castigabis, centum emendabis: “colpirne uno per educarne cento”, come dicevano Mao Tse-tung e le Brigate Rosse (chissà se Mao sapeva il latino. Curcio certamente si).

Però per me è un problema etico, in realtà mi dispiace ucciderle, anche quelle poche che ammazzo, però le schiaccio lo stesso. Chiedo ipocritamente scusa all’anima delle vittime, chiedo loro scusa ma le ammazzo. In cuor mio vorrei arrivare a una totale non belligeranza mirmecologica. In realtà basta aspettare che arrivi un po’ più di freddo e le formiche spariranno da casa per conto loro, ma finché ci sono vorrei riuscire ad accettarle in giro per la cucina tutte, non soltanto “quasi tutte”. Cos’hanno fatto quelle poche vittime rispetto alle loro numerose colleghe che entrano ed escono indisturbate? Soltanto si sono trovate nel posto sbagliato (a portata delle mie dita) nel momento sbagliato (quando mi arrabbio con loro). Non è bello ciò. Più bello sarebbe un totale, completo, vivi e lascia vivere. Senza per questo arrivare a tenere un fazzoletto davanti alla bocca e uno scopino che pulisce la strada davanti ai miei piedi come fanno i santoni jainisti per non uccidere accidentalmente nessun animale mentre camminano e respirano. Troppo complicato, è roba che neanche i vegani puri e duri….
Per oggi basta, delle gambusie ne parliamo un’altra volta.

(Scritto il 21 settembre 2016)

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