Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Spunti interessanti, negli Ossi di seppia, soprattutto la divina Indifferenza.
Ma oggi mi interessa la sonnolenza del meriggio.
La più antica delle mie sonnolenze del meriggio risale al periodo di Cantù, anni 1963-65, casa dei nonni, io 4-6enne, cucina con terrazzo e vista sul Monte Rosa, primo indizio dell’esistenza dei panorami delle montagne lontane come manifestazione ontologica dell’esistenza di Dio, ma allora ero troppo piccolo per rendermene conto. L’automobilina a pedali rossa con cui aiutavo a sparecchiare, il nonno depositava sul cofano i piatti usati che levava dal tavolo del tinello (soggiorno, dining room, ma i nonni erano piemontesi, dicevano tinello come Paolo Conte in La ricostruzione del Mocambo) e la nonna li lavava e puliva la cucina, alla fine passava lo straccetto umido sul tavolo per far tutto pulito e se ne andava, e la cucina rimaneva vuota e restava… l’odore di pulito, l’azzurrino di fondo della cucina, il silenzio immobile, il ticchettio leggero dell’orologio a muro (divagazioni su tempus fugit, cotidie morimur, ma a 5 anni non ci si pensa)…
Restavano cose che di tanto in tanto ritrovo inattese in altre cucine pomeridiane e mi danno lo stesso antico senso di quiete, di pace col mondo, di immersione, identificazione, mescolanza intima, mistica, con l’Universo nella sua essenza immobile. Roba buona per un bimbo medioborghese, certo nulla a che fare con le trance mistiche dei Dervisci danzanti o con la Nube della Non-Conoscenza, ma ognuno fa quel che può, no?
È come vivere un sogno, sereno, senza grandi gioie, senza passioni, semplicemente sereno, una specie di Nirvana privato, privo di passioni ed emozioni, né negative né positive, ma tanto bello forse proprio per questo. Bello non so, certamente riposante.
Qualche situazione simile capita, nel tempo, è capitata dai 5 anni di allora ai 42 di oggi. Qualche pomeriggio genovese fra il pranzo e i compiti di studente medio e liceale, ad esempio. Un momento simile come stato d’animo, benché il “fatto” fosse avvenuto fuori delle mura di una cucina domestica, fu a Frinco, anno ‘87 circa, davanti alla rustica e ospitale cascina Rampone-Piacentini, in un pomeriggio afoso di piena estate, sdraiati sul prato sotto il nocciolo, c’era Silvia, forse Marco B. ed Ettore A. Le foglie del nocciolo immmmmmobili, Dio non voleva, evidentemente; la collina della vigna fuori vista, il Monferrato appisolato intorno a noi e nella mente un silenzio infinito….
Breve flash-back recentemente in un pomeriggio di blanda primavera a Sanremo, la piccola cucina di Donatella coi piatti che sgocciolano dalla piattaia e il ron ron del frigo in sottofondo. Forse è anche questo uno dei motivi per cui accetto l’idea di sposarmi: per scelta o per caso (e questa è per caso, ma non fa differenza) Donatella riesce a farmi vivere, rivivere, semplicemente “esistendo”, situazioni personalissime e private a cui sono affezionatissimo. Non è cosa da poco, suvvia…

Variante: Borgo San Dalmazzo, casa giardinosa dei cugini cuneesi di Dona, tranquillità della campagna piemontese in fine-inverno inizio-primavera, erba verde e alberi in fiore ma ancora con quel grigio marroncino della terra umidiccia dell’inverno. I monti innevati appena dietro, l’orizzonte vicinissimo. Senso di pace tiepida serena stupenda, anche se basta poco per accorgermi che oggi mi piace tanto perché è aprile e c’è il sole, ma a viverci tutto l’anno con la neve il freddo la nebbia sarebbe ben diverso. Meglio il mare, e il sole che sorge dal mare alle 7 del mattino lungo l’Aurelia fra Sanremo e Imperia, una palla rossa arancia gialla, dico palla ma è a forma di calice perché lì dove sorge sembra che sia mare aperto e invece ci sono, invisibili se non in alcune tersissime mattinate d’inverno, i monti della Versilia, le Apuane, al di là di quel mar Ligure che solitamente appare infinito oltre l’orizzonte e invece è così piccolo… basta vedere com’è grossa la Corsica, quando c’è, che da Imperia la si vede anche al livello del mare, azzurra e nitida.

Seconda variante, poi smetto: il fiume Orba sotto l’A26 a nord di Ovada, fra alberi verde chiaro e ciliegi in fiore a fine aprile, e andare a Torino in macchina con la vecchia Trappoletta, la mia fedele Y10, è come le pubblicità delle auto nuove in tv, quelle che viaggiano solo su strade deserte immerse nei boschi, e qui si viaggia lungo l’A21 fra i frutteti fioriti dell’Astigiano (ma non ci fanno il vino, nelle colline di Asti? le mele non stanno in Trentino?) e addirittura a fianco della tangenziale di Torino ci sono le mucche! Come in val Varaita!?! Forse giravano la pubblicità del Mulino Bianco?

(Scritto il 12 maggio 2001)

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