L’11 febbraio sono andato a una interessante conferenza a Palazzo Ducale: era l’ultimo evento di “Scienza condivisa 2020 (Fantascienza contemporanea)” un ciclo organizzato dalla Fondazione di Palazzo Ducale insieme all’Istituto Italiano di Tecnologia IIT di Genova (un centro di ricerca scientifica molto internazionale che lavora molto bene, nonostante la disastrata situazione politica della ricerca scientifica italiana); conferenze organizzate soprattutto per merito di Alberto Diaspro, professore di fisica applicata all’Università di Genova e direttore del Dipartimento di Nanofisica del sullodato IIT (en passant, mi ha fatto piacere che quando ci siamo incrociati nel salone mi abbia salutato giovialmente anche se sono diciott’anni che io non bazzico il Dip.di Fisica e non lo incontro).Titolo della conferenza: Piante robotiche: fantascienza o realtà? Relatrice Barbara Mazzolai, biologa e direttrice del Centro di Micro-BioRobotica del già citato IIT; il senso del suo lavoro (suo e dei biologi e ingegneri che lavorano con lei al Centro e in altri centri di ricerca analoghi in Italia e nel mondo) consiste nel trarre ispirazione dal funzionamento biologico delle piante per inventare strumenti, apparati, meccanismi e “robot” che funzionino secondo i medesimi principi. La robotica impara dalla natura, insomma. 
Apprendere dalla natura non è una novità, ci ragionava su anche Leonardo, e per fare qualche esempio di imitazione della natura si pensi al velcro, copiato pari pari dai frutti del cardo alpino, o alle pentole antiaderenti in pietra e ai moderni tessuti impermeabili che copiano le nanostrutture antiaderenti e impermeabili delle foglie del loto. O alla Torre Eiffel, che copia – questo non lo sapevo – la struttura a nido d’ape del femore umano per ottenere grande resistenza con poco peso su grandi altezze.
La Mazzolai e il suo gruppo stanno studiando “il figliolo”, come lo ha chiamato con espressione toscana, cioè un “plantoide” che è un sensore a forma di radice che scava nel sottosuolo crescendo in lunghezza e muovendosi come una vera radice; utile per svolgere indagini sul contenuto del suolo, sostanze inquinanti, acqua, temperatura, minerali, reperti e manufatti umani sepolti… o anche come endoscopio medico poco invasivo e non distruttivo.
Altri studi sviluppano robot che si arrampicano, si avvinghiano, creano viticci e si adattano alle asperità dell’ambiente agendo come le piante rampicanti, e altri studi passano dalla botanica alla zoologia cercando di copiare il sistema cerebrale del polpo che ha un’intelligenza diffusa nel suo corpo, i suoi neuroni stanno un po’ nel cervello e un po’ nei tentacoli, similmente alle piante che non hanno un organo paragonabile al cervello animale ma “pensano”, prendono decisioni, comunicano, lottano, attaccano, si difendono, fanno amicizia, litigano, si accoppiano, si riproducono, uccidono, si adattano all’ambiente, modificano l’ambiente attraverso l’azione di strutture diffuse e sovrabbondanti distribuite dentro tutto il loro corpo.Insomma, mi sono proprio goduta l’ora e mezza di conferenza e mi sono convinto che la biologa-robotica Barbara Mazzolai entra a ottimo diritto nella Trimurti di Amici delle Piante insieme al neurobiologo vegetale Stefano Mancuso e allo scrittore e “dendrosofo” Tiziano Fratus: è gente che si avvicina alla botanica con il rispetto, l’ammirazione, l’affetto che le piante meritano, le piante che per me sono di gran lunga la parte più affascinante e più “intelligente” dell’universo biologico.

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