Non sono occhi che possano attirare l’attenzione dell’interlocutore frettoloso o del passante distratto. Niente azzurro del cielo sereno, nè il verde dei boschi di montagna, o il grigio del mare sotto la pioggia; semplici occhi marroni, come se ne vedono tanti nei volti delle genti che popolano le coste del Mediterraneo.
Ma lo sguardo.
Una mescolanza di sicurezza e di dubbio di sè, di curiosità e di timore verso il mondo estraneo, di desiderio di amare e di paura di essere ignorata, di sfrenata allegria irrazionale e di tristezza repentina, di affetto totale per chi si dimostra veramente amico e di odio assoluto per l’incauto che osi non dico rifiutare ma anche solo mettere in dubbio la purezza e la sincerità dei suoi sentimenti.
La prima volta che ti senti osservato da quello sguardo ti spaventi: uno sguardo che ti scruta, ti scava sotto la pelle, ti fruga dentro ogni recesso dell’anima con l’affanno eccitato dell’archeologo che ha appena scoperto una tomba sconosciuta e si prepara ad aprirla, invaso dalla curiosità di sapere cosa vi troverà dentro, se meravigliosi tesori o semplici cocci di ceramiche stinte.
E non avrai scampo: quello sguardo, inatteso la prima volta, temuto la seconda, lo aspetterai e lo cercherai successivamente, diventerà un’ossessione delle tue giornate, ti mancherà quando non te lo sentirai addosso, ridente e furibondo, e ti accorgerai che non potrai più farne a meno. Perchè se vuoi arrivare a Monica, a ciò che di celestiale e di diabolico c’è in lei, devi passare per i suoi occhi: due normali, comunissimi, occhi marroni.

(Scritto nel 1992, forse)

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