Il giainismo è una religione dell’India che prende il nome dal fondatore Vardhamana detto Jina (in sanscrito “Vittorioso”), vissuto nel VI secolo a.C.

In estrema sintesi, il giainismo mira a ottenere la liberazione dal samsara (il ciclo delle reincarnazioni) e dal karma attraverso pratiche anche estreme di austerità e distacco dalle passioni. È una delle molte religioni asiatiche “senza Dio” (gli studiosi dicono che è una religione “transteistica”, per la quale gli dei esistono ma sono irrilevanti e l’universo è eterno, increato e senza fine), conta pochi milioni di fedeli ma la sua influenza culturale è stata importante in India e nel Sud dell’Asia.

Predica un’assoluta nonviolenza che porta i fedeli (o almeno i monaci che intendono praticare la fede in maniera completa) a una forma estrema di veganesimo con la rinuncia non solo ad alimenti animali ma anche a molti cibi vegetali e la filtrazione dell’acqua per non ingerire involontariamente piccoli organismi. Alcuni monaci indossano una mascherina per non inghiottire piccoli insetti volanti e spazzano la strada di fronte ai propri piedi per non calpestarne altri.

L’animalismo estremo dei giainisti mi è tornato in mente quando ho incontrato nella parte condominiale del giardino di Villa Mergellina a Sanremo la bimba (circa 6 anni) della giovane coppia che vive al piano sotto di me e possiede il giardino accanto al mio. La bambina, chiamiamola Meme, era con la mamma e ho sentito che stava dicendo “stiamo attenti a non schiacciarle” e la mamma le rispondeva “stiamo attenti, camminiamo piano”.

Mi sono avvicinato e ho chiesto cosa non dovevano schiacciare camminando – anche se lo stavo immaginando – e mi fu risposto “le lumache”. Ho detto “brava, anch’io sto attento quando cammino per non schiacciare le lumache!” E ho apprezzato la sensibilità della fanciulla. Purtroppo non è sufficiente la sensibilità, per me è un dolore quando nonostante le mie attenzioni sento un “crac” con una sonorità molto particolare che mi informa che ho appena schiacciato il guscio di una disgraziata chiocciola che si è trovata nel punto sbagliato nell’istante sbagliato e ora agonizza contorcendosi a causa della mia disattenzione. Raramente ma succede, e quel raramente è sempre troppo più spesso di quanto vorrei.

Comunque mi ha fatto molto piacere constatare questa attenzione nella bimbetta dai bellissimi occhi azzurri, giainista a sua insaputa, che vive nell’appartamento sotto di me. Dio voglia che crescendo rimanga sempre sensibile, rispettosa e attenta, e le auguro e spero che estenda la sua sensibilità anche ad altre forme di vita piccole e indifese. Ama anche i miei gatti che ovviamente se ne fregano dei confini di proprietà e vanno nel loro giardino a dormire, guatare gli uccellini e liberarsi dalle scorie organiche con la stessa disinvoltura con cui fanno quelle cose nel mio.

Io, peraltro, ho trovato un modo per, diciamo così, contrastare questa mia involontaria saltuaria propensione al chiocciolicidio da calpestio; Daniela G., la mamma di “Deva di Mioglia”, sa a cosa mi riferisco e sembrava divertita quando gliel’ho raccontato; ad altri non ricordo se ne ho mai parlato ma magari un giorno – qualora vi interessi – saprete.

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