La vecchina del castelletto, viste le dimensioni…

coloro tra Voi lettori che sono tali da poco tempo probabilmente ignorano cosa sia il “Birrino con Uge”. Cercherò brevemente di spiegarlo perché poi possiate capire meglio i fatti. Lo farò seguendo gli insegnamenti dell’antico amico Mario G. che or è molti’anni, in epoca non sospetta (ovvero preberlusconiana) usava una fraseologia autoreferenziale e autolaudativa fatta di espressioni del tipo “Come giustamente ho detto io…”

Ecco, come giustamente scrissi io Gianni un po’ di tempo fa… “Il Birrino con Uge consiste nell’incontrarsi circa una sera la settimana con alcuni amici di vecchia data (Eugenio “Uge” Ferrari in primis, eroe eponimo della vicenda) per chiacchierare oziosamente del più e del meno seduti a un tavolo della Barcaccia 2 a Castelletto, sorseggiando qualcosa da bere. Semplice tran tran amicale, insomma.
Questi incontri prendono il nome di “birrini” su proposta di Uge, in onore di una citazione letteraria di Beppe Fenoglio – o Cesare Pavese, ora non ricordo bene – che in un suo libro dice di un Tizio che “uscì con due birrini in tasca” (più o meno). L’Autore intendeva sic et simpliciter due piccole bottiglie di birra, noi abbiamo metaforizzato il termine trasformando il birrino da mera bottiglia di ridotte dimensioni destinata a contenere una bevanda nutriente a base di cereali fermentati a incontro socializzante e abitudinario fra amici consolidati. Codesti amici sono vari benché non varissimi, un po’ sempre gli stessi insomma. Conditio sine qua non è che vi sia Uge. Perché il Birrino o è con Uge o non è. Si è dato talvolta infatti il caso che io o altri si abbia dato improvviso forfait, ma non si contempla ancora il caso in cui Uge sia stato assente e il birrino abbia cionondimeno avuto luogo.
Tecnicamente, comunque, non è indispensabile bere birra: Uge beve coca cola”.

Talvolta il Birrino è Itinerante. Anche qua faccio prima ad autocitarmi: “Il Birrino Itinerante sta al Birrino con Uge un po’ come Rupicapra pyrenaica ornata sta a Rupicapra pyrenaica: il camoscio d’Abruzzo è una sottospecie del camoscio dell’Europa meridionale, e l’Itinerante idem. Itinerante è quando prima di sedersi a bere si cammina per un’oretta lungo le creuse e i sentieri di collina o i caruggi antichi del centro storico, sano esercizio fisico e esplorazione degli angoli nascosti della città insieme”.

Due Birrini Itineranti fa andammo a percorrere (non per la prima volta in effetti) le creuse che scendono dal panoramico poggio del Belvedere verso il centro dell’antico borgo di pescatori di San Pier d’Arena, oggi operoso e popoloso quartiere cittadino commercial-portuale. Contrariamente all’uso solito (si salga l’ascesa, si scenda la discesa, come direbbero a Siena) quando andiamo al Belvedere posteggiamo in cima e scendiamo a piedi, per poi risalire alla macchina e tornar giù verso le dissetanti bevande.
Salita Belvedere è la creusa principale della zona e a metà della viuzza s’ergono, a dritta per chi scende, due “castelletti”, ovvero due villette in stile primo Novecento, graziosamente ricercate nel decoro architettonico e circondate da due piccoli giardinetti. Due villini della buona borghesia d’antan, più belli e più annosi dei condominiazzi anni Settanta che s’innalzano maleducati poco più a valle.

Il più in quota dei due villini ha la facciata ben colorata, linda e ben tenuta o ben restaurata. Al nostro passaggio lucevano alcune finestre accese nella serata fresca.
L’altro presentava muri scrostati, persiane sghembe, un’aria di abbandono un po’ triste e – nel buio della sera – anche un po’ inquietante.
Ci fermammo a guardare meglio questo edificio dall’aspetto quasi abbandonato, io mi affacciai fra le grate del cancelletto a osservare il piccolo giardino, tutto era buio e silenzio. Uge era pochi passi avanti a me, e guardava da più lontano.
Dopo aver osservato il nulla buio per un po’ in reciproco silenzio riprendemmo il cammino e Uge disse “hai visto la vecchia?”
“Quale vecchia?”
“Quella che era nel giardino”
“Nel giardino? ma non c’era nessuno nel giardino!”
“Era davanti a te, vestita di bianco”

Io giurai che non avevo visto nessuno, bianco o nero che fosse, Uge insisteva.
Sorse facile un dubbio: e se fosse stato un fantasma? L’antica abitatrice del villino, in cui aveva vissuto anni felici finché una tragedia dolorosa aveva portato via la vita e lei e la luce all’edificio, che da allora stava lì abbandonato e vuoto, vieppiù in rovina. No, non vuoto bensì abitato da quella bianca irreale figura che non voleva staccarsi dalla dimora tanto amata in vita…. e perché era apparsa a Uge e a me no?
Era un segnale? Di che tipo? Fausto o funesto? E per chi dei due? Probabilmente per Uge…

Il giorno dopo Uge mi mandò una mail:
“tornando a iersera, Ti confermo che io la vecchia l’ho vista, con un golf bianco e i capelli scuri, in silenzio e quasi immobile a guardarci mentre tu eri girato verso destra. Lo gioro, l’ho vista, e non bevo e non soffro di malattie nervose … Ora mi sovvengono certi film gotici in cui queste scene segnalano immancabilmente un funesto presagio (io non mi segno perché non sono superstizioso e anzi concordo con chi definì la superstizione come “la religione degli spiriti deboli”); più di recente possiamo citare anche “quella nera signora” di Vecchioni e il cavaliere che “vide che guardava lui e si spaventò” … insomma, sono convinto che meriti un breve resoconto via e-mail”.

Mi permetto di aggiungere il detto “la superstizione porta sfortuna”, detta da non ricordo chi, e comunque ben volentieri assecondo il desiderio di Uge e mando questo resoconto. Qualcuno ha aneddoti analoghi da raccontare?

Per amore di verità devo aggiungere che la settimana scorsa tornammo in Salita Belvedere a ricercare la White Old Lady ma non trovammo nessuno; il giardino era deserto anche per Uge ma c’era una luce accesa a una finestra del villino. Sarà stata la vecchia che dava un party con alcune sue amiche, defunte da 50 anni come lei?

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