Tra i pezzetti di terreni-coperti-da-vegetazione che possediamo mia sorella e io grazie alla lungimiranza dei nostri antenati c’è il “Prato di Ormea”.

A Ormea ci sono il Giardino, il Prato e il Bosco. Tutta roba di modestissima estensione. Va ben che a Genova la nobiltà si acquisiva col commercio e non con la proprietà fondiaria (mancando il territorio su cui fondare la proprietà) ma se fossimo vissuti in Inghilterra o in Francia, dove per diventare nobili bisognava possedere grandi terre con grandi rendite agricole, noi neanche valvassini saremmo mai diventati.

Il Prato lo acquistò nostro nonno negli anni Settanta. Un pezzo di terreno a breve distanza dalla casa di campagna (col Giardino) con qualche albero di mele, qualche susino, due ciliegi, un pero (un mito quel pero! Ne ho già parlato in un qualche messaggio di tempo fa. È uno degli amori della mia vita quel pero, alto, solitario, generosissimo di frutti ogni anno…). Credo che l’intento del nonno fosse di avere un pezzo di terra su cui in futuro edificare una casetta per gli eredi, giusto mia sorella e io ed eventuali post-eredi successivi, da affiancare alla casa che già c’era e tuttora c’è.

Mio nonno non edificò mai nulla (per fortuna) e quel Prato è da allora un piacevole fornitore di mele, pere, susine. Buone da mangiare e farne confetture. Totalmente “biologiche” nel senso che nessuno ha mai dato niente a quegli alberi che si sono sempre fatti gli stracassi loro, gli anni che han voglia di fare i frutti li fanno e noi li raccogliamo, gli anni che c’hanno lo scazso non li fanno e noi prendiamo atto, niente a che vedere con quel proprietario della parabola di Gesù che vorrebbe tagliare il fico che non dà frutti (Luca (13,6-9).

Quegli alberi si fanno la loro vita in totale assoluta libertà, godendo del nostro massimo rispetto. In generale fruttificano un anno sì e un anno no. Ricordo gli anni sì di quando ero bambino, mio nonno insisteva che tutti mangiassimo mele e non capivo come potesse non stufarsi di tutte quelle mele. Ma tante cose fanno gli adulti che i bambini non capiscono, salvo il comprenderle quando diventano adulti pure loro…

Il 2022 è un anno sì e come al solito non riusciamo a raccogliere tutto quel ben di Dio e molta frutta rimane caduta a terra a marcire. O a generare figli: giovani piantine di melo non ne ho mai trovate ma i susini sono più prolifici dei criceti della Littizzetto, ogni anno ne nascono a decine e poi bisogna fare come Erode; qualcuno lo lascio crescere per il futuro ma quasi tutti vanno eliminati se si vuole che rimanga “Prato”.

Poche sere fa stavo terminando la cena con una mela che avevo raccolto pochi giorni prima e mi rallegravo di quanto fosse buona; mia sorella mi manda un messaggio whatsapp e le rispondo che sto mangiando eccetera e le ricordo (se lo ricordava anche lei) che un’estate – nonni già defunti – qualcuno propose ai nostri genitori di costruire sul Prato una serie di casette a schiera. I miei ci pensarono un po’ su, possibilisti, e poi chiesero a noi figli cosa ne pensassimo: io risposi nel mio modo naturale che uso quasi sempre, cioè dissi che ero contrario con tono pacato e tranquillo, mia sorella esplose in uno sciupùn de futta urlando che era una fesseria colossale e robe del genere. Ricordiamo entrambi che uno dei genitori (memorie confuse su chi dei due sia stato) le disse “anche Gianni è contrario”. E quella fu la fine dell’insulsa idea di abbattere gli alberi per erigere casette a schiera. Mi fa molto piacere che sia stata riconosciuta la mia contrarietà all’idea ma resto convinto che a cacciarla definitivamente fuori dai pensieri dei genitori fu la veemenza di mia sorella. Onore al merito.

Morale della favola? La solita: gli alberi sono tra le massime meraviglie dell’Universo/del Creato e sono convinto che se e quando Qualcuno ci chiederà conto del bene e del non-bene che avremo fatto durante la nostra vita, a mia sorella e a me (probabilmente più a lei che a me) verrà ascritto a nostro merito l’aver salvato quella dozzina di vite arboree dalla frenesia edilizia di qualche geometrucolo e ingegnerucolo di provincia. Ma anche se fosse stato il progetto di un’archistar, quelle casette a schiera non s’avevano da fare. Se eviteranno il rischio di essere inceneriti da un fungo atomico, lunga vita agli alberi del Prato di Ormea!

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