“Il viaggio di gruppo”

Ho poca esperienza di viaggi organizzati di gruppo: uno a Mosca e in Kamciatka nel 1993, eravamo una quindicina tra escursionisti italiani e guide-guardieforestali-cuoca russi; alcuni orsi e molti salmoni a tenerci compagnia. Poi uno a Bologna coi soci FAI della provincia di Imperia lo scorso marzo, una cinquantina di persone.

Ci fu anche un viaggio disorganizzato di gruppo, una specie di Tour de France in auto con tende e sacchi a pelo, eravamo in venti tra i venticinque e i trentatré anni di età, nell’agosto 1991.

Fu ben riuscito, se pur con qualche screzio dovuto a questioni logistiche fraintese, quello antico in Russia; fu un mezzo casino quello in giro per la Francia, tutti amici (parecchi sono qui tra Voi Lettori) ma con idee molto diverse su cosa fare, dove fermarsi, dove andare…. Benissimo senza nessun intoppo quello recente a Bologna del FAI, dove era peraltro evidente che quasi tutti erano abituati a viaggiare in gruppi numerosi e organizzati e quindi sapevano il fatto loro.

Poi questo a San Pietroburgo in diciotto, tutti soci del Club Unesco di Sanremo. Cinque giorni (scarsi) a inizio agosto.

Partendo dal fondo posso dire che se l’anno prossimo si decidesse di andare gli stessi diciotto a Mosca, io ci andrei volentierissimo.
Partendo dalla cima posso dire che per me l’optimum per viaggiare è tra le due e le sei persone. Anzi, tra l’una e le sei persone, che mi muovo bene anche da solo, se del caso. Diciotto sono un po’ tantine. Peraltro mi sono accorto che riunire diciotto persone tra i 45 e i 70 anni di età in un gruppo che si muove entro un programma di visite intenso permette di compiere interessanti osservazioni antropologiche.

Soprattutto, quei quattro giorni mi hanno permesso di scoprire che la maggior parte dei miei consimili nutre un’intensa passione “cchiù forte ‘è na catena” (per dirla come Alan Sorrenti) per le toilettes dei musei e per le bottiglie di acqua minerale in vendita per strada. Confesso che avrei trovato normale una simile inestinguibile sete tra i miei compagni di viaggio se avessimo intrapreso la traversata del Sahara da Agadez all’Oasi di Siwa, ma non avrei mai pensato che in una normale città europea con un normale clima europeo si potesse bere così tanto. Ancora oggi mi chiedo se era davvero necessario perdere un quarto d’ora per acquistare acqua e aranciata in un chioschetto alle 7 di sera dell’ultimo giorno, dopo nove ore di visite intensissime tra palazzi e giardini degli zar, quando tutto ciò che dovevamo ancora fare era salire sul comodo pullman con aria condizionata e fare mezz’oretta di viaggio, dopodiché saremmo arrivati in albergo dove c’erano ettolitri di acqua fresca e gratuita a disposizione nei boccioni distribuiti lungo i corridoi e un bar fornitissimo. In quella situazione ammetto che in cuor mio ho mandato caldamente a cag… quella decina di miei compagni di viaggio acquadipendenti, e sono certo che anche la nostra guida Irina e gli altri pochi non-assetati del gruppo fossero abbastanza irritati, costretti come me a cincischiare sul marciapiede mentre i cammelli bevevano prima di poter finalmente salire sul pullman e tornare in albergo.

La frequentazione dei bagni pubblici immagino che sia stata un’ovvia conseguenza per pareggiare il bilancio idrico, tanta ne entra tanta ne deve uscire.

A margine, mi sono chiesto spesso – anche prima di andare a Pietroburgo – se l’intenso pluridecennale martellamento pubblicitario in favore delle acque minerali imbottigliate possa aver contribuito a convincere tanti miei consimili che è necessario ingozzarsi di acqua come la Fontana di Trevi per riuscire a sopravvivere nelle aride desolate lande delle città in cui abitualmente tutti noi viviamo. Non do una risposta, che non ho. Io non bevo quasi niente fuori pasto quindi fatico a comprendere il fascino della bottiglietta d’acqua inserita nella borsetta o dentro lo zaino lungo le strade di una città sul 60° parallelo. Ma la mia intelligenza è limitata, lo so bene.

Torniamo a Pietroburgo: la prima sensazione è che è una delle più belle ed eleganti città europee; la seconda è che i russi sono tutti zaristi.

La sua bellezza è determinata in primis dalla situazione idrografica, con la grande Neva, un altro fiume più piccolo e una rete di canali e canaletti che l’attraversano con qualche centinaio di ponti che vi passano sopra, rendendola paragonabile ad Amsterdam, ma più grande, più elegante, più sontuosa della capitale olandese. In secundis è bella perché gli edifici, i palazzi e le chiese del suo centro sono belli, ben fatti, hanno stile, classe, signorilità. Gran profusione di neoclassico, rococò, un po’ di barocco, un po’ di art nouveau. Edilizia sovietica verso la prima periferia. Beh, l’albergone in cui eravamo alloggiati era sicuramente ex-sovietico, ma aveva un roof-bar al diciottesimo piano da cui vedevi tutta la città lì di sotto, sino alle foschie del mare e a una supposta azzurrina e puntuta che è il grattacielo più alto d’Europa, 460 metri di altezza (circa la metà del Burj Khalifa di Dubai, che di metri ne fa 830, come il Monte Fasce di Genova). Il suppostone pietroburghese è la sede della Gazprom.

Lo splendore neoclassico e rococò dei palazzi zaristi è assalito da orde di turisti asiatici, Irina li chiamava “cinesi” con tono di lieve disprezzo. Sono tantissimi, tanterrimi. Girando per l’Hermitage e gli altri palazzi pensavo che sono tanti-troppi ma mi ci devo abituare perché il mondo gira così, i cinesi fanno da soli il 20% dell’intera umanità, me li troverò tra i piedi sempre di più, ovunque andrò. Chissà cosa pensano, nel profondo della loro anima, quando fotografano la Madonna Benois di Leonardo e la Sacra Famiglia di Raffaello. Non è una domanda retorica, non voglio sottintendere che so cosa pensano o cosa non pensano; mi chiedo “chissà cosa” perché proprio non ho idea di cosa possano pensare. Io cosa penso quando osservo delle opere d’arte cinesi? Bella domanda…

Altra intensa cineseria erano le colazioni in albergo, che pullulava di ospiti asiatici di varia fatta. Io non mi stupisco più di quasi niente da quando – giovine ricercatore universitario precario – vidi nel 1989 a Oxford compassati professori inglesi far colazione con inquietanti funghetti blu che avrebbero mosso a ribrezzo i più sballati fra gli Apaches Mescaleros dell’epoca di Tex Willer. Quindi ci può stare che han, kazaki, coreani e cantonesi colazionino con cose che da noi forse nemmeno a pranzo.
Oggi sono passato a Palazzo Ducale a vedere due belle mostre fotografiche di Fulvio Roiter (un genio, un vero genio!) e di Oliviero Toscani (anche lui, a suo modo) e questo parlava delle vacanze in crociera – dove trovi di tutto di più – e tra l’altro diceva “non so iniziare la colazione col pesce spada”. Ecco, avrebbe dovuto venire all’Hotel Azimut di Sankt Petersburg…

I cinesi sono cinesi e ce ne facciamo una ragione. I russi sono zaristi e anche questo dobbiamo accettarlo. Tre giorni di palazzi-giardini-chiese-tombe-saloni dove hanno vissuto, dormito, mangiato, amato, cag..o, tramato, governato e infine sono morti tutti gli imperatori di Russia e le loro famiglie, tre giorni di parole parole parole che Irina ci ha rovesciato addosso su Pietro il Grande, Maria Alexandrovna, Caterina, Ivan e quant’altri zar, zarine, principi e principesse hanno calpestato i sacri pavimenti di questi palazzi… insomma io il terzo giorno non ho più ascoltato una parola che fosse una, non ricordo nulla di chi ha fatto cosa dentro le sale di Peterhof e di Carskoe Selo. Nulla. Magari ci sono passati anche Michael Jackson e Mary Poppins ma se Irina ce lo ha detto io non lo so, perché avevo smesso di ascoltarla il giorno prima. Ho fatto molte foto, guardato, camminato, apprezzato tutto, ma non ce la facevo più ad ascoltare i “caeti” di Pietro e Caterina e tutti gli altri zar e compagnia bella…

Voglio dire che mi sembra che per i russi del XXI secolo la storia e la vita degli zar del XVIII e XIX secolo sia una parte fondamentale della loro cultura di cui vanno orgogliosissimi. E anche ai sovietici tutta sta roba piaceva, visto che hanno conservato o restaurato/ricostruito benissimo tutto quanto.

Ogni tanto Irina parlava del “popolo” che entrava nei giardini o faceva qualcosa qui e là, e io mi chiedevo di quale “popolo” stesse parlando; dei servi della gleba che sopravvivevano a stento? Dubito fortemente che fosse loro permesso entrare nei giardini dello zar. Forse quello che i russi odierni chiamano “il popolo” dell’epoca zarista era l’alta borghesia, la piccola nobiltà. Boh. Non ho chiesto a Irina chiarimenti su ‘sta cosa perché non avevo voglia di impelagarmi in discorsi a eventuale sfondo politico. Ma mi rimane il dubbio.

A ben vedere capisco che Putin venga rieletto da decenni con elezioni plebiscitarie; ‘sti russi non hanno mai avuto nemmeno uno straccio di pseudo-democrazia: prima gli zar, poi Stalin, ora Putin semplicemente continua la serie dei capi unici e indiscussi che devono mantenere la grandezza della Russia nel mondo.

Città bellissima ma “costruita sugli scheletri”. Città voluta dallo zar (Pietro il Grande, ovviamente) in una posizione che fosse la più vicina all’Europa possibile ma il sito era infame, una palude disabitata, e Dio sa quanti poveracci ci hanno rimesso la pelle per rendere il luogo abitabile ed edificare la città. Non solo Dio lo sa, c’è anche qualche dato abbastanza ufficiale, cose sui 30.000 morti stimati. Ma allora dei caduti sul lavoro ci si preoccupava poco… Come succede ancora nel mondo attuale, nei cantieri degli stadi di calcio in Qatar, negli stabilimenti tessili in Bangla Desh e in mille altri luoghi.

Tebe dalle sette porte, chi la costruì? Bella poesia di Bertold Brecht che lessi sull’antologia della scuola media e “mi colpì”, come si diceva allora…

Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì ?
Ci sono i nomi dei re, dentro i libri.
Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra?
…..
…..
Filippo di Spagna pianse quando la flotta
gli fu affondata. Nessun altro pianse?
….
….
Ogni dieci anni un grand’uomo.
Chi ne pagò le spese ?

Quante vicende,
tante domande.

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