Lacus Prelius domus phoenicopterorum

Rivista: La Casana
Editore: Carige
Luogo di pubblicazione: Genova
Data: 2013, anno LV, n°3

Categoria: Tag: , , ID:709

Descrizione

Per avere una visione d’insieme, panoramica e policroma, bisogna salire al Castello, o almeno alle mura del borgo medievale di Castiglione della Pescaia, erede dell’insediamento romano sorto sulla riva del fiume Bruna (Villa delle Paduline) e sviluppatosi come borgo murato in collina coi nomi di Piscaria a mare o Castelione dal XIII secolo, prima sotto Pisa poi come Libero Comune infeudato a Firenze, poi ancora…. la storia dei comuni italiani è varia e articolata, si sa… Da lassù si vede chiaramente la vasta pineta del Tombolo, 400 ettari di pini domestici a ridosso del mare, una lunga striscia verde scuro che sfuma verso il profilo ondulato del monte Argentario; a minor distanza si scorge il percorso quasi rettilineo del fiume Bruna che separa il centro moderno di Castiglione da una piana disabitata, acquitrinosa ed erbosa, delimitata ai suoi margini esterni dalle colline dell’alta Maremma e dallo skyline gentile della città di Grosseto. All’inizio della piana spicca un edificio color rosso-rosato (verrebbe da dire “color fenicottero”) di forma vagamente trapezoidale, unica emergenza architettonica della palude che occupa gran parte della piana. Chi sia munito di un binocolo o almeno di un buono zoom fotografico può scorgere nell’azzurro delle acque basse una macchia biancastro-rosata di uccelli in calmo e ozioso movimento sulle loro lunghe zampe sottili. Basta poca immaginazione per rendersi conto che sono fenicotteri. È una colonia di una trentina di individui, una colonia che da almeno un decennio trascorre qui parte dell’anno e che nell’estate 2013 ha nidificato per la prima volta in questa zona umida maremmana poco nota ma onusta di storia, il cui nome esatto e completo è Riserva Naturale Provinciale Diaccia Botrona. Un’area protetta vasta 1273 ettari di cui 700 occupati dalla palude, dove vivono o svernano o nidificano più di duecento specie di uccelli che si alternano durante l’arco dell’anno: vi si trovano molti anatidi, limicoli, ardeidi e gli eleganti fenicotteri rosa. La costante presenza del falco pescatore, oggi nuovamente nidificante sulla costa maremmana, è un “valore aggiunto” al già vasto patrimonio di biodiversità di quest’area. Non mancano, sia chiaro, i mammiferi, gli anfibi, i rettili, gli insetti, i pesci – dai muggini alle anguille – e un considerevole numero di specie vegetali.

C’era una volta… il mare. Dove oggi discettiamo di palude, di uccelli acquatici e di riserve naturali, un milione di anni fa c’era un mare basso e calmo, che per gli storici è comodo definire mare di Grosseto. Un anacronismo, perché ovviamente a quei tempi Grosseto non esisteva. Quest’area marina era delimitata dai monti dell’Uccellina a sud e dal promontorio di Castiglione a nord; vi sfociavano i paleo-fiumi Bruna e Ombrone che portavano in mare i sedimenti raccolti nei loro vasti bacini imbriferi – quello dell’Ombrone è uno dei più ampi bacini idrografici dell’Italia centrale. Durante il Quaternario si ebbe il graduale sollevamento di circa trecento metri degli originari fondali marini, fenomeno che creò le condizioni necessarie alla formazione di una pianura alluvionale lungo gli ultimi tratti dei due fiumi citati, mentre il mare iniziò a ritirarsi verso sud-ovest. Il deposito plurimillenario dei sedimenti fluviali portò al lento riempimento del mare di Grosseto che si ridusse gradualmente in estensione e profondità. Circa 3000 anni fa i depositi fluviali diedero forma al tombolo costiero, quello su cui oggi prospera la pineta e le cicale assordano l’aria estiva; il tombolo separò la parte interna del bacino marino dal mare aperto e costrinse il fiume Ombrone a spostare la sua foce. Bastano rudimentali conoscenze di geologia per rendersi conto che con questa situazione il curriculum vitae dell’ormai ex-mare di Grosseto era stabilito: stava diventando una laguna, che si sarebbe poi trasformata in un lago e infi in una palude. Anzi, in un padule come si dice in Toscana. Mano a mano che il processo evolveva, la superficie sommersa diminuiva, sostituita da terreni asciutti colonizzabili dalla vegetazione.

Qualunque fosse la loro origine su cui ancora si discute, in un certo momento della storia in Maremma arrivarono gli Etruschi, che ai confi della laguna-lago fondarono due città, Vetulonia a nordovest e Roselle a nordest. Vetulonia basava la sua economia sullo sfruttamento delle vicine Colline Metallifere mentre Roselle era principalmente un centro agricolo; per entrambe il lago funse da facile via commerciale verso la costa e il mare aperto. Toccò poi a Roma esercitare la signoria politica ed economica sulla bassa Maremma: i romani battezzarono il bacino Lacus Prelius (che noi italianizziamo in Lago Prile) e man mano che l’afflusso dei sedimenti fluviali riduceva l’estensione del bacino e aumentava la superficie adatta all’agricoltura, essi lottizzarono e centuriarono il territorio, mentre la salinità del bacino venne sfruttata per la raccolta del sale. Intanto le città etrusche si romanizzarono, a Roselle si incontravano la via Aurelia e la via Clodia. In epoca romana, il lago Prile doveva essere un bel posto, uno di quei “siti ameni” che i ricchi romani tanto amavano, almeno a dar credito a Cicerone, che nell’Orazione in difesa di Milone, accusato dell’omicidio del ricco e potente Publio Clodio, cita una villa che Clodio avrebbe costruito (forse abusivamente) sopra un’isola del lago Prile; isola che da allora è nota come isola Clodia anche se ormai è solo una bassa collina nella campagna.  …

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