La carta geografica del mondo

Rivista: Gazzettino Sampierdarenese
Editore: S.E.S. – Società Editrice Sampierdarenese
Luogo di pubblicazione: Genova
Data: Aprile 2017, anno XLVI, n°4

Descrizione

Mio padre mi raccontava che dopo la dichiarazione di guerra del 1940 mio nonno aprì una carta geografica del mondo e lo invitò a confrontare l’estensione dell’Impero Britannico sparso nei cinque continenti con la modesta superficie dell’Impero d’Italia. Poi disse: come potremo vincere una guerra contro una nazione che governa così tanto territorio e così tanta popolazione? Mio padre aveva solo nove anni ma questo discorso se lo ricordò per tutta la vita; mio nonno Antonio non era un autorevole politologo, era un vigile urbano di San Pier d’Arena con origini campagnole, però capiva gli eventi della sua epoca. L’Impero Britannico è finito ma altri imperi si preparano a governare il mondo: oggi sulla Terra vivono quasi sette miliardi e mezzo di esseri umani, in circa duecento nazioni; la più popolosa è la Cina, ha un miliardo e trecentosessanta milioni di abitanti, segue l’India con un miliardo e duecentonovantacinque milioni; ovvero, in queste due nazioni vive un terzo dell’intera umanità. In Europa, da Lisbona agli Urali, siamo 720 milioni, cioè ogni europeo ha 3,5 indiani-cinesi con cui confrontarsi. Mi chiedo come possano i quarantasei stati europei divertirsi a rattellare tra loro e a smantellare quel po’ d’unione costruita in settant’anni, senza pensare che dobbiamo confrontarci con le grandi potenze dell’Asia, grandi per risorse naturali, forza lavoro, ambizioni, unità politica. E sviluppo tecnologico, anche: oggi molta ricerca scientifica d’avanguardia la fanno i cinesi, diventerà tecnologia che noi acquisteremo a caro prezzo, pagandola magari in talleri, dobloni, fiorini, zecchini, sesterzi, ciascuno con la sua moneta… “Liberi non sarem se non siam uni” diceva Manzoni: verso orribilmente cacofonico ma veritiero oggi come allora. Roy Paci nella canzone “Giramundo” immagina “Londra in Mali, Sarajevo in Palestina…” in realtà non occorre una commistione di popoli così totale da spostare le città, né occorre essere tutti uguali: è bello essere italiani, svizzeri, estoni, scozzesi, tutti diversi; ma non divisi, perché più ci divideremo tra noi europei, più rapida sarà la decadenza della nostra cultura, del nostro stile di vita, del nostro modo di essere; cioè della nostra libertà.

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