I poeti del forno e del grano

Rivista: La Casana
Editore: Carige
Luogo di pubblicazione: Genova
Data:  2012, anno LIV, n°1
(pubblicato sotto pseudonimo)

Descrizione

“Non consiglio di fare il pane, può diventare una passione pericolosa, come la poesia. Il pane è una vocazione piuttosto malinconica, che richiede principalmente tempo libero per l’anima.
Il poeta e il panettiere sono fratelli, nel fondamentale compito di nutrire l’umanità”.

La SS 96 si lascia alle spalle, a nord, l’elegante città di Bari e i grossi centri che vi stanno intorno e procede verso sud-ovest in lievissima salita attraverso immensi oliveti e campi che in gennaio appaiono incolti e sassosi, appena macchiati da qualche gregge di pecore al pascolo. Benvenuti nell’Alta Murgia, terra arida ma generosa, uno dei “granai” storici d’Italia; i suoi campi, bianchi di sassi in inverno, si fanno verdi di grano giovane in primavera e gialli dorati in estate: l’oro del grano duro migliore d’Italia… come si dice qui. Sulla cima larga e piatta di un colle dal vasto panorama sta la città di Altamura, coi resti delle sua mura megalitiche preistoriche (Altus Murus) e il centro storico bianco come si conviene a una città di Puglia, chiaro di pietra calcarea di Trani e di Gravina: palazzi, chiese e i claustri racchiusi in se stessi con piccoli cortili stretti fra le case, una tipologia urbana che sa di Grecia ma anche un po’ di Maghreb e di Mediterraneo Orientale. Dici Altamura e pensi al pane… La storia di Altamura è strettamente legata al pane, alimento fondamentale per tutti i popoli che vivono intorno alle rive del Mediterraneo e che hanno nella “Mezzaluna Fertile” del Vicino Oriente la terra d’origine della loro agricoltura e della loro cultura (questa legata a quella non solo per etimologia).

La struttura urbanistica storica delle campagne altomurgiane consiste di grossi centri urbani con migliaia di abitanti posti al centro di grandi estensioni di campi coltivati, e di masserie isolate nella campagna che – olim – ospitavano anche più di cento persone. Che vivessero nei “paesoni” o nelle masserie, i contadini che dovevano percorrere lunghe distanze giornaliere per recarsi al lavoro avevano bisogno di cibi facilmente trasportabili e ben conservabili, e il pane era il principale alimento fornito di questi requisiti. Pani grandi, quindi, e con una struttura che impedisse il rapido deterioramento, né troppo duro né ammuffito in fretta. Non sarà bastato un solo giorno per “inventare” il pane di grano duro di Altamura, ma il prodotto nato in un impreciso momento storico dall’ingegno di uno, dieci, cento anonimi fornai è stato indubbiamente un’invenzione geniale e di imperituro successo.

Tutto ha inizio dal grano duro: delle molte varietà autoctone di grano duro dell’Alta Murgia barese, l’unica che ancora venga coltivata diffusamente – ci sono una ventina di produttori – è il Simeto; la sua semola rimacinata viene mescolata con lievito madre naturale a pasta acida – giammai usare il banale lievito di birra! – e con acqua tiepida e sale marino. Quando l’impasto è omogeneo si lascia lievitare per due o tre ore, coperto da un panno di cotone. Poi si riprende a lavorare la massa, modellandola secondo il peso desiderato. Storicamente si facevano forme di cinque chili, in grado di durare fino a quindici giorni; oggi le forme standard pesano un chilo: gli usi, i gusti e le dimensioni delle famiglie sono cambiati parecchio… peraltro più la forma è grande, più si conserva a lungo. Un’altra ora di lievitazione, poi si pratica un’incisione circolare intorno all’impasto e gli si dà una di quelle forme curiose che caratterizzano a prima vista il vero pane di Altamura: le più tipiche sono quella del “pane accavallato” (in dialetto suona u Sckuanète), in cui una parte dell’impasto viene ripiegato su se stesso, e quella del “pane morbido” (u Puène muedde), anticamente preferito dai contadini e dai pastori.

Se il grano duro è il primo elemento fondamentale per fare un buon pane e il lievito madre è il secondo, il forno è il terzo: i forni tradizionali in pietra sono ancora oggi un elemento urbanistico importante ad Altamura; possono essere costruiti in tufo o in “màzzaro” (pietra di Gravina), un marmo locale non refrattario; hanno cappe molto alte, bocche capaci di ospitare anche più di 300 chili di pane – un tempo si facevano infornate anche di 550 chili – e le pale per l’infornata hanno necessariamente manici lunghissimi di non facilissima manovrabilità; sono forni a legna a combustione diretta alimentati tradizionalmente soltanto con legna di quercia. Storicamente, i forni erano di quartiere o di masseria: ogni quartiere ne aveva uno e naturalmente ogni masseria doveva essere autosufficiente in tutto. …

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