La pista è affollata ma senza ressa. L’uscita di sicurezza al lato della sala è aperta, ma il microclima sotto le luce bianche e colorate ha ormai raggiunto quelle condizioni di umidità e temperatura subtropicali tipiche delle discoteche, e anche dell’aria di Genova quando soffia forte lo scirocco. Pur essendo un luogo pieno di gente che si sgomita vicendevolmente, lì, sotto la musica degli U-Boot, ognuno è solo o insieme ai pochi amici che si è portato da casa; gli sconosciuti non contano. Sono indispensabili, perché se si fosse solo in 14 farebbe sfiga ballare nella sala vuota, ma ora che si è in 150 gli altri 136 non vengono degnati di un’occhiata. Amenità dell’animo umano.
Il gruppo di trentenni (chi più, chi meno), tutti dilettanti dei sabati discotecari, tutti rigorosamente vestiti da bravi bambini della media borghesia genovese (ovvero più banali di così non si può) è sparpagliato tra la pista da ballo, i tavolini e il bancone del bar. Il sottogruppo saltellante sotto le luci è disposto più o meno in cerchio, schiene e chiappe in fuori, verso gli sconosciuti compagni di pista, facce e braccia rivolte verso il centro, a guardarsi l’un l’altro, a urtarsi ogni tanto, ci scappa anche qualche parola smozzicata fra il rullare del sax, lo squillare della batteria e le grida del cantante. ‘Sti U-Boot suoneranno anche benino, ma Dio quanto sono brutti!. Roba da far spavento alle zucche di Halloween.
Se si disponessero tutti i membri del gruppo in fila di fianco e se ne disegnasse il profilo altimetrico di testa in testa verrebbe fuori un tracciato irto e scosceso da tappone dolomitico del Giro d’Italia: si va dal metro e 85 circa dei maschietti più alti al metro e 60 circa delle femminucce più piccine. Con tutte le altezze intermedie ben rappresentate. Siccome non sono tutti fermi in fila ma in cerchio dondolanti, il risultato visivo è piuttosto un amalgama di stature watusso-pigmee (senza offesa per nessuno, sia chiaro) scosse da un bulesümme irregolare.
Le fanciulle piccine picciò sono due: una è scura di pelle, di occhi, di capelli ed anche un po’ di baffi, l’altra chiara di capelli, di occhi, i baffi non ci sono o se ci sono sono ben nascosti, la pelle sarebbe sul chiaro ma una sapiente pluriennale cura di sole estivo e di maquillage invernale le ha conferito un colorito dorato soffuso di soddisfazione di vivere. Forse il problema è capire dov’è, un poco sommersa dai corpi e dalle teste della gente intorno, tutta più alta di lei. Poi quando la si scorge si nota subito quant’è carina. E ciò rallegra l’animo.
Oscilla sotto la musica nel suo tipico atteggiamento “da ballo”: la testa leggermente protesa in avanti, appena rivolta verso l’alto; la bocca chiusa con le labbra strette ma allungate in un accenno di sorriso rivolto al mondo tutto o a sè stessa, chissà; gli occhi socchiusi, come per assorbire dentro di sè tutta la musica, senza distrazioni, come se questi suoni che la circondano le rammentassero chissà quali felicità passate o le premonizzassero gioie future.
Indossa una maglietta chiara elasticizzata, attillata quanto basta per segnalare, senza eccessi ma senza nascondere nulla, il profilo del corpo, snello senza magrezza, che non sembra appartenere ad una persona golosa di dolci e briosciosa, o forse sembra appartenere ad una persona dolciosa ma che metabolizza bene. E forse anche la palestra aiuta. La maglietta aderente evidenzia le ondulazioni regolari del seno, piccolo ma non piatto, dal profilo dolce come una collina della Bassa Langa, di disegno vagamente rinascimentale, perfettamente proporzionato alla volumetria complessiva della persona, fornito della muscolatura necessaria e sufficiente a combattere con successo la forza che attira i gravi verso il basso. Quel tipo di seno benedetto da Dio per cui vale la “Legge della Matita”, formulata da Erika in un giorno d’estate: tenendo il busto eretto, si appoggi una matita sul petto in corrispondenza del profilo inferiore della mammella e in contatto con essa. La matita deve cadere. Se il seno scende sopra di quella sostenendola, non è un bel seno.
Quello della ragazza bionda è vivo, sulla pista. Non parla, non canta, non balla, no; ma percepisce il mondo intorno a sé. Infatti, quando la ragazza balla da sola o di fronte a generici compagni di pista le due curve che le addolciscono il petto hanno un profilo regolare arrotondato sulle sommità. Ma se le si avvicina qualcuno dei suoi amici più cari ed inizia a ballarle di fronte, e le mani di costui girano nell’aria intorno alla sua testa bionda, poi scendono a mimare un abbraccio, e le gambe di lui si avvicinano alle sue e si muovono sincrone, e con tutto il movimento questo corpo maschile lascia sottintendere soffusi desideri erotici (ciò che in fondo è il vero significato del ballo, di ogni ballo di ogni luogo, di ogni gente e di ogni tempo: una preghiera alle Divinità del Sesso e dell’Amore)…quando succede tutto questo, il corpo della ragazza non nasconde la soddisfazione e i capezzoli si inturgidiscono, innalzandosi evidenti sulla sommità dei seni e spuntando perentori sotto la maglietta attillata. Appaiono così, come quei promontori che allungano verso l’oceano certe penisole già estreme, come fari che segnalano al navigante nella procella che lì c’è la terra e la possibilità di riposare. E quando la danza “a due” finisce, la procella si placa, i fari si spengono, e i capezzoli spariscono di nuovo nell’anonimato. Pronti a innalzarsi ancora al successivo approccio danzante maschile.
Ogni donna lì dentro ha un odore che la contraddistingue e basta avvicinarsi un poco per avvertirlo. Alcune emanano eccessivi sentori di profumi artificiali, pozioni pseudovegetali acquistate e indossate per il desiderio di farsi più desiderabili ma che ottundono la percezione e quindi il desiderio di chi sta loro intorno. Altre hanno saputo limitare la finzione olfattiva e comunicano un messaggio di freschezza serena che non uccide la naturale fragranza della pelle. Lei si è circondata di un profumo leggero sotto il quale non è difficile percepire l’aroma naturale della sua persona, quel sentore lieve così femminile che la distingue e la contraddistingue da sempre, che esalta il suo essere femmina, il suo essere pienamente donna e non una qualsiasi banale ragazzina. Il movimento del ballo allarga intorno a lei il suo profumo naturale e insieme al bel viso e alle leggere malizie del corpo la rende ancor più affascinante.
La sua pelle…. ballando le tocchi accidentalmente i fianchi con le mani….senti che è sudata….il caldo dell’ambiente….tutti sono un poco accaldati lì dentro….poi durante un breve pezzo “a due” ti prende le mani con le sue mani calde….si gira, si appoggia leggermente con la schiena contro le tue braccia…. senti che anche la maglia sulla schiena è umida….le accarezzi i fianchi per percepire di nuovo l’umido tiepido del suo sudore invisibile….la bellezza di un corpo femminile non è solo una teorizzazione spirituale….non si definisce solo attraverso la vista….è fatta di odori, di sensazioni tattili, di caldo o di freddo, di secco o di umido….calore e umidità sono caratteri essenziali di un corpo vivo….una donna bella e di buon odore, diventa ancor più attraente con la pelle umida….il concetto di sesso non va d’accordo con il freddo né nello spirito né nel corpo, si sa….i canoni estetici moderni identificano la traspirazione del corpo con qualcosa di disdicevole e da eliminare sempre e comunque, invece una pelle imperlata di un sudore lieve, appena lucida alla vista e appena umida al tatto è assai più erotica di qualunque superficie asettica e arida similplastica….e ancora una volta lei dimostra di essere una donna raffinatamente sessuata, sessuale e sensuale, per chi la osserva e la abbraccia appena….qui sulla pista come in altre occasioni, ad esempio al mare, quando è sdraiata sotto il sole e una rugiada salata le “imperla” la pelle tra i seni e sulla fronte….chissà se se ne rende conto che quelle goccioline che brillano sulla sua pelle bruna sono un’altro dei numerosi piccoli tocchi di classe che aggiungono grazia alla sua bellezza, poco appariscente ma così solida e definitiva….

(Scritto il 30 novembre 1995)

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