L’oro verde della montagna

Rivista: La Casana
Editore: Carige
Luogo di pubblicazione: Genova
Data: 2014, anno LVI, n°3
(pubblicato sotto pseudonimo)

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Descrizione

Mamma di fuoco e roccia

‘A  muntagna’, semplicemente. Volendo strafare si può chiamarlo Mongibello, che è come dire Monte montagna, una specie di endiadi. Oppure, più familiarmente, “Mamma Etna”. Una mamma con un caratteraccio, ma proprio quando si arrabbia dà la vita al territorio che le sta intorno e a tutti coloro che in quelle terre vivono, alberi, animali, esseri umani.

A fine ottobre il tronco cono del vulcano più alto d’Europa (e montagna più alta d’Italia a sud delle Alpi) è già imbiancato alle alte quote di neve sottile, il cui candore si confonde col bianco delle nuvole che le passano intorno e col grigio chiaro di un pennacchio di fumo leggero, segno che la fucina del dio Efesto è in attività, incurante della crisi che affligge l’industria siderurgica nazionale.

Sul versante nordoccidentale, sugli 800 metri di quota, c’è un grosso centro abitato compatto di case antiche con reminiscenze arabe e moderni edifi  di edilizia postbellica, i campanili delle chiese svettano tra i tetti e sui vicoli. Si chiama Bronte e forse il suo nome deriva dal greco βροντή (brontē, tuono), riferito ai boati prodotti da mamma Etna. Il brontese Giuseppe Cimbali così lo descrive: “Ha la parte orrida e la parte lieta, la parte tenera e la parte epica a un tempo. Di là è lambito, anzi… tristamente coronato da moli gigantesche di lava nereggiante; di qua, come per contrasto, lo dominano vaghe colline, ricche sempre di vegetazione e d’incanto… l’Etna si eleva in tutta la maestà della sua fi ura, come piramide immane…bello sempre, anche quando fa male, nella coscienza sicura della sua grandezza e della sua onnipotenza”. Verrebbe da dire che “la parte orrida” è montalianamente scabra ed essenziale, là dove la roccia lavica delle sciare – fertilissima di minerali utili alla vita vegetale – è ancora troppo giovane per permettere il prosperare della vegetazione; invece intorno al centro urbano e più a valle verso il fiume Simeto nella “parte lieta” la campagna verdeggia di erbe, alberi e grossi arzigogolati cespugli di fi d’india. Molti alberi hanno profi disordinati e sconnessi, con l’aria arruffata di chi bada più alla sostanza dell’essere che alla forma dell’apparire. Sono pistacchi.

‘Pistacia vera’

È questo il nome scientifi o del pistacchio; né altissimo né longevissimo, spesso più arbusto che albero, può comunque innalzarsi (o è meglio dire “contorcersi”?) sino a circa 6 metri e vivere 300 anni. Lo si dà originario del Medio Oriente, della Persia, forse del Turkestan, dove era coltivato forse già in età preistorica. Se ne parla nella Genesi e risulta essere citato con altre piante nobili in un obelisco eretto da Assurbanipal I re di Assiria nel VII secolo a.C. In Italia arrivò nel I secolo d.C. portato dalla Siria ma il suo successo è dovuto agli arabi che nel IX secolo conquistarono la Sicilia, dove il fustuq (questo il suo nome arabo) divenne frastucara, e frastuca il suo frutto. Nel XII secolo Marco Polo lo trova coltivato nella Persia sudorientale insieme a “datteri, frutto di paradiso e altri frutti che non sono di qua”.

I pistacchi hanno sempre goduto di buona fama e tra i molti suoi estimatori si possono citare il medico bolognese Baldassarre Pisanelli che nei primi del XVII secolo scrive “Levano le opilationi del fegato, purgano il petto e le reni, fortificano lo stomaco, cacciano la nausea, rimediano al morso di serpenti”. Un secolo dopo, Niccolò Lemery accademico di Francia, scrive: “li pistacchi sono umettanti e pettorali, fortificano lo stomaco, eccitano l’appetito, sono aperitivi e molto utili alle persone magre…. Eccitano gli ardori di Venere e accrescono l’umore feminale…”; afrodisiaci, anche. Ultimamente, studi medici americani sostengono che il pistacchio aiuta a combattere le pressione alta e migliora le risposte biologiche allo stress10.

A metà Ottocento trovò nel territorio di Bronte le condizioni climatiche e pedologiche che cercava per esprimersi al meglio: altitudine (600-800 metri), umidità, clima, sole e il valore aggiunto dato dalla pietra lavica ricca di minerali in cui metter radici e da quella sorta di concimazione naturale offerta dalla cenere vulcanica che spesso precipita sul territorio; tutto ciò conferisce ai pistacchi di Bronte caratteri organolettici ineguagliabili, fra cui quel colore verde smeraldo e quel profumo intenso che gli altri produttori di pistacchio nel mondo in cuor loro invidiano. Gli alberi di pistacchio a Bronte non si concimano né si irrigano, solo li si pota un poco per eliminare i rami secchi e togliere le gemme negli anni “di scarica”. Il pistacchio, infatti, un anno produce e un anno riposa e durante il riposo i contadini eliminano le sue poche gemme affi ché la pianta possa immagazzinare tutte le energie per la stagione successiva.

Il pistacchio è una specie dioica, ovvero esistono piante maschio e piante femmina. Un maschio produce abbastanza polline per fecondare una decina di femmine ma maschi ce ne sono pochi perche non sono remunerativi per i produttori quindi si trovano ad avere un enorme harem a loro disposizione, quasi cento femmine a testa. I coltivatori brontesi piantano un maschio in posizione elevata e uno in basso, così fanno polline in tempi diversi e il periodo riproduttivo si allunga; l’impollinazione è anemofila, affidata al vento, e teme la pioggia che fa cadere a terra il polline. Sono piante molto prolifiche, i semi germinano ovunque, anche nel cemento.

I suoi frutti sono riuniti a grappoli: sono drupe più piccole delle olive, con un mallo sottile di colore bianco e un guscio sottile e duro; il seme ha una buccia (u garìgghiu) di un bel colore viola carico e l’interno di un colore “verde pistacchio” che qui sotto l’Etna assume una tonalità intensa che non si ritrova nei pistacchi stranieri, un verde ricco di clorofilla che rimane stabile anche dopo la lavorazione. Dal punto di vista nutrizionale, è ricco di lipidi e contiene buone quantità di sodio, potassio, calcio, ferro, magnesio, fibra, zucchero, proteine, vitamine A e C.  …

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