La storia insegna che le civiltà nascono, crescono, diventano forti culturalmente, economicamente e politicamente, poi decadono e scompaiono, mentre altre civiltà più giovani si sviluppano e crescono, con caratteri nuovi e diversi ma anche ereditando qualcosa dalle civiltà precedenti, con le quali si contrappongono solitamente in modo violento ma poi ne subiscono il fascino e ne assimilano i caratteri migliori trasformandoli e facendoli loro, garantendo in ultima analisi la sopravvivenza proprio di quelle civiltà “antiche” a cui apparentemente volevano sostituirsi. Graecia capta ferum victorem cepit, dicevano i romani: la Grecia catturata (da Roma) catturò il selvaggio vincitore perché a Roma trasmise la sua cultura.

Ciò è avvenuto per i sumeri, gli assiro-babilonesi (che vanno sempre insieme, come ironizzava Alessandro Bergonzoli parecchi anni fa), gli egizi, i fenici, i greci, gli etruschi, i romani… ciascuna di queste civiltà è scomparsa ma qualcosa del loro patrimonio culturale si è conservato, diventando parte integrante delle civiltà successive. Senza i sumeri non avremmo la scrittura, senza i fenici non avremmo l’alfabeto e la navigazione, senza gli egizi non avremmo la geometria, senza i greci ci mancherebbero la logica, la filosofia e buona parte della matematica, senza i romani mancherebbero le strade e il diritto, tanto per fare gli esempi più facili. Oppure avremmo tutto ciò ma in modo diverso: anche in Cina e in Giappone scrivono ma in modo molto differente dai popoli europei. Anche la religione: da un punto di vista storico penso si possa dire che senza le antiche civiltà persiana ed ebraica non avremmo le religioni monoteiste che così fortemente caratterizzano le civiltà del Mediterraneo; a Oriente è tutto diverso anche per le loro religioni “senza Dio”.

L’Europa si inserisce in questa successione come erede della civiltà romana: nella fase della sua maturità-vecchiaia culturale e politica, Roma si è scontrata con i “barbari” che arrivavano dall’oriente e dal nord, c’è stata una grande confusione sotto il cielo europeo e mediterraneo per qualche secolo e dall’unione fra la civiltà romana decadente e quei popoli culturalmente molto diversi e meno evoluti è nata quest’Europa che ha conquistato il mondo e lo ha dominato per almeno mezzo millennio e ci ha allevato e istruito, ci ha formato spiritualmente e culturalmente, ci ha fatto “europei”, un europeità alla quale credo che nessuno di noi potrebbe rinunciare anche se lo volesse, nel bene e nel male.

L’Europa (la civiltà europea) è figlia di Roma e dei barbari, si è formata con una travagliata gestazione durata grosso modo dal III al IX secolo, è venuta ufficialmente al mondo (piccola, debole e bisognosa di attenzione e di cure come tutti i neonati umani) nell’anno 800 avendo come levatrice ostetrica Carlo Magno primo imperatore del Sacro Romano Impero, nel Medioevo è cresciuta, con tutte le difficoltà e le incertezze e gli entusiasmi e gli errori di qualsiasi adolescente umano; poi il Rinascimento e l’Età Moderna… l’Europa è diventata adulta, forte, fiera, orgogliosa, presuntuosa e soddisfatta di sé, in grado di dominare il mondo, di esportare e di imporre la sua cultura, la sua filosofia, la sua religione, la sua morale, le sue lingue…
Ha esportato anche i suoi abitanti, e non sempre per ragioni di fierezza e orgoglio, li ha esportati anche per fame, per desiderio di libertà, per sfuggire alla tirannia, insomma per ragioni antiche quanto il mondo e ancora oggi d’attualità.

Ma prima o poi gli adulti diventano vecchi ed eccoci qua: io porrei l’inizio della vecchiaia dell’Europa alla Seconda Guerra Mondiale, dopo di cui il Vecchio Continente ha perso il ruolo di padrone del mondo e ha iniziato la sua decadenza politica, economica e culturale. Che potrà anche essere lunga e ragionevolmente gradevole ma che non ha – credo – altre conclusioni che l’estinzione di questa nostra civiltà europea, come prima si sono estinte le civiltà romana, greca, egizia…. un’estinzione che comunque lascerà una forte, importante, sostanziale eredità alla civiltà che prenderà nel mondo il ruolo dominante che fu dell’Europa dall’XI al XX secolo.

Da cosa si capisce che l’Europa è vecchia? Quali sono i sintomi dell’invecchiamento di una civiltà?
Beh, mettendoli un po’ alla rinfusa e mescolando il serio col faceto, il primo che mi viene in mente è che una civiltà vecchia è politicamente corretta.
I popoli giovani e nel pieno del loro vigore impongono il loro punto di vista agli altri popoli che sottomettono e li deridono e li disprezzano e ne parlano male. I popoli vecchi si sentono insicuri e per difendere la loro insicurezza diventano gentili con gli estranei, cercano di non offenderli.
Singolarmente non è sempre così, il singolo individuo europeo rimane in cuor suo convinto di essere superiore all’individuo africano o orientale, così come l’europeo eterosessuale è certo di essere superiore all’omosessuale, l’europeo atleta è contento di non essere seduto una sedia a rotelle o di non vedere niente…… ma costoro quando parlano in pubblico non dicono “son felice di non essere negro, frocio, paralitico, cieco”, piuttosto parlano di persone “di colore/extracomunitari, gay (che ha come significato primario “allegro”), diversamente abili, non vedenti”. In una civiltà già adulta ma ancora vigorosa (ad es. l’Inghilterra del XIX secolo che dominava il mondo) essere omosessuale era un reato punibile col carcere, esattamente come succede oggi in diverse nazioni extraeuropee. Ottant’anni fa si cantava “Bingo Bango Bongo sdare bene solo al Congo” e 50 anni fa Fausto Leali cantava “sono un povero negro ma nel Signore io credo”; oggi forse direbbe “sono un povero di colore ma del Signore non ho timore”. In Brasile a São Paulo nel 1999 vidi un cartello stradale col disegno di una sedia a rotelle e la scritta “DEFICIENTES são pessoas como nόs!” (sono persone come noi). Lodevole intento di favorire l’attraversamento della strada da parte di persone “non deambulanti” ma ve lo immaginate un cartello simile in Europa? Da far dimettere subito il sindaco.

Secondo sintomo: i popoli giovani sono maschilisti, quelli vecchi badano all’eguaglianza di genere: “le studentesse e gli studenti”, “le donne e gli uomini della Resistenza” (o della Sagra della Frittella, è lo stesso), dimenticando che generalmente nelle lingue prive del genere neutro il maschile funge (fungeva, funse, fungerebbe) da genere bisessuale collettivo. Poi i mariti abbandonati ammazzano le ex-mogli ma questi sono incidenti di percorso. L’importante è stabilire le quote rosa e dire “le colleghe e i colleghi”, “le melanzane e i melanzani”, badando bene a mettere sempre prima il femminile.

Terzo indizio: i popoli giovani prima vivono poi se mai fanno le regole; i popoli vecchi si costruiscono gabbie di regole e regolette e poi si adattano a viverci dentro. Esempio: in Africa e in India salgono in cento sui camion sopra pile di bagagli e viaggiano seduti sui tetti dei treni e aggrappati alle porte esterne dei vagoni; in Europa se non hai la cintura di sicurezza e se non metti il bambino sull’apposito seggiolino ti tolgono i punti sulla patente e la patria potestà.

Quarto indizio – più importante e per nulla faceto: i popoli giovani fanno della religione un’arma etnica e politica per conquistare spazio e potenza nel mondo, i popoli vecchi perdono la spiritualità, si preoccupano solo degli aspetti materiali dell’esistenza e considerano Dio e la fede come qualcosa di cui si può fare benissimo a meno.

Quinto, collegato al quarto: i popoli giovani impongono la loro religione a forza – anche quando il loro Dio predica l’amore e l’uguaglianza e la nonviolenza – obbligando le genti sottomesse a conversioni forzate. I popoli vecchi si preoccupano di non offendere la sensibilità dei fedeli di altre fedi e nei casi più estremi si astengono dal fare presepi nelle scuole se ci sono bambini zoroastriani o taoisti.

Sesto importantissimo: i popoli giovani sono poveri e la vita dei singoli vale poco e costa poco, i popoli vecchi sono ricchi e fingono di dare molto valore alla vita individuale, che viene a costare parecchio, ai singoli e alla società.
Settimo, strettamente collegato al sesto e altrettanto importante: i popoli giovani sono prolifici, quelli vecchi fanno pochi figli.

Secondo me la vecchiaia dell’Europa e il vuoto della Medesima sono strettamente collegati (in effetti il vuoto è più dell’Europa che dell’Occidente in senso totale, forse per la parte di Occidente che sta in America e in Australia le cose sono un pochino diverse, finora); è la vecchiaia che svuota la civiltà europea ed è il vuoto che la invecchia.

Un vuoto spirituale dove le cose che fanno girare la società sono prevalentemente materiali, i numeri macroeconomici, il rispetto formale di una congerie di regole di buona creanza e buona convivenza sociale, il rispetto delle regole del mercato (del Mercato), e dove c’è poco spazio per il sacro (per il Sacro), dove il rispetto formale per ogni ideologia politica e sociale e per ogni fede religiosa è indizio del generale disinteresse per tutte le ideologie e per la fede e per tutto ciò che è “metafisico”; una società in cui twittare è molto più importante di pregare.

MA SIA CHIARO: IO SONO MOLTO CONTENTO DI VIVERE NELL’EUROPA DEL XXI SECOLO !!!!!!!
Ringrazio Dio per avermi sistemato qui e ora, hic et nunc, in una nazione e in un continente dove essere “frocio” o “negro” non è un reato, dove posso non pregare o pregare in modo diverso dai miei vicini di casa senza rischiare la vita, dove posso manifestare pubblicamente contro i governanti senza perdere la libertà o i diritti civili, dove l’indagine della natura – la ricerca scientifica – non è subordinata a divieti politici o religiosi (in Italia ciò non è del tutto vero ma siamo un’eccezione), dove se mi serve un negozio aperto nel giorno in cui si santifica il Signore lo trovo, dove chi è vegetarianoveganofruttarianocrudistaceliacomacrobioticoomeopaticointollerante trova qualcuno che lo nutre e lo cura senza farlo sentire uno scemo (un diversamente intelligente) e anzi si premura di informarlo che lo stracchino è un “cibo allergenico” (!!!!??????!!!!!????) eccetera eccetera et cetera….
Sono fermamente convinto che nonostante le sue magagne l’Europa è di gran lunga il pezzo di mondo preferibile per viverci. Questa Europa attuale “delle europee e degli europei”, della BCE e dell’euro, l’Europa desacralizzata, materialista e “vecchia”. Ci vive bene chi è desacralizzato, materialista e intollerante allo stracchino ma anche chi sente il fascino del sacro, del metafisico e del formaggio trova in questa civiltà vecchia il giusto spazio che gli è necessario, cosa che probabilmente non succederebbe se vivesse in una società giovane, fortemente spirituale e sensibile al sacro, perché quella società sarebbe anche intollerante e violenta, tanto più intollerante e violenta quanto più intrisa di “sacro”. Succede sempre così nella storia.

Però mi chiedo: poi, cosa succederà? Credo che la stessa vecchiaia che sta vivendo l’Europa odierna l’abbia vissuta Roma una diciottina di secoli fa. Possiamo imparare qualcosa dal passato? Montale lo Scettico diceva che la storia non è magistra di niente che ci riguardi e forse aveva ragione lui… Però andiamo a vedere cos’è successo allora, casomai trovassimo delle analogie.
Per quel che ne so le analogie più evidenti stanno nei punti 4,6,7 che poi sono quelli importanti: disinteresse verso la “religione dei padri” e verso la fede nel soprannaturale; benessere materiale come valore di vita principale e quantitativamente superiore a quello dei popoli circostanti; natalità a zero o sottozero. Nell’impero romano è successo tutto ciò, esattamente come sta succedendo ora in Europa.
Roma ha conquistato il mondo perché i romani ai tempi della Repubblica e dei primi imperatori erano rudi guerrieri con un forte senso dello stato e con l’orgoglio di essere “cives romani”, avevano una religione che attraverso i suoi riti e le sue strutture contribuiva a tenere insieme la società, avevano la convinzione che quando conquistavano militarmente un territorio e un popolo “barbaro” portavano in quelle terre e a quel popolo la civiltà. Portavano la civiltà romana, che per loro era La Civiltà, quella-che-non-ce-n’è-altra; col diritto romano, la lingua romana, gli usi civili romani. E attraverso i soldati di Roma il mondo si civilizzava.
Gli europei dal Quattrocento alla metà del Novecento hanno fatto esattamente lo stesso.

Poi Roma ha iniziato a faticare… in Italia e nelle terre di più antica romanizzazione, come la Provenza e la Gallia, è iniziata a calare la natalità mentre aumentavano gli afflussi verso il centro dell’impero di gente dalle provincie periferiche più prolifiche e più povere (qualche somiglianza con il presente?).
Questi “nuovi romani” iniziarono a fare carriera anche nelle alte gerarchie civili e militari dello stato, occupando i posti resi vacanti dai romani che non c’erano più o facendo lavori che i “vecchi romani” non volevano più fare. Esempio tra gli esempi il militare: col passare del tempo divenne necessario arruolare gente che apparteneva ai popoli non italici, prima da quelli romanizzati in tempi antichi poi via via entrarono nell’esercito gente dei popoli di sempre più recente – e labile – romanizzazione, che inevitabilmente prima o poi diede dei problemi. Nel terzo secolo ci fu anche qualche imperatore che arrivava “da lontano”, come Eliogabalo (siriano e sacerdote di un culto del Dio Sole), Massimino il Trace (nato senza cittadinanza romana da genitori barbari – come se diventasse Presidente della Repubblica Italiana il figlio di due immigrati clandestini) e Filippo l’Arabo (siriano e – credo – cristiano). A questi stadi del processo mi pare che in Europa non ci siamo ancora arrivati, a parte le badanti e i calciatori – che però non sono le “colonne portanti” della società europea, cioè, forse le badanti si – più qualche poliziotto francese di origine maghrebina o tedesco di origine turca o un paio di ministri sparsi di origine africana. Per i capi di stato e di governo dell’UE che si chiamino Al-Anwar, Wang o ‘Mbabane forse è solo questione di saper aspettare, chissà.
Zeus e gli dei antichi perdevano fedeli, ormai ci credevano in pochi e i templi si svuotavano, gli intellettuali seguivano le teorie filosofiche arrivate dalla Grecia e il popolo scopriva le nuove religioni orientali, il mitraismo, il cristianesimo, affascinati dai predicatori e dai riti che arrivavano dall’Oriente e che sembravano offrire quei valori spirituali che la religione “ufficiale” aveva perso da tempo (niente di simile oggidì?).

E l’impero, nonostante le sue difficoltà politiche, sociali ed economiche, appariva ai popoli che vivevano oltre il limes come una terra quasi felice: nell’impero c’erano le strade e le città, c’era il diritto, c’era l’agricoltura… altro che quelle foreste cupe e quelle steppe in cui si trovavano a vivere i Goti, i Vandali, gli Avari, i Franchi, i Sassoni con le loro capanne e i sentieri tra le tane degli orsi e dei lupi. Poi c’erano barbari che per ragioni storiche si trovavano già a vivere dentro i confini dell’impero e godevano dei privilegi formali o sostanziali che ne conseguivano; immagino che quando nel 212 Caracalla promulgò il suo Trattato di Schengen, ovvero concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero, costoro abbiano ancor più suscitato l’invidia dei loro “cugini” barbari che vivevano fuori dai confini, che pensavano “perché noi dobbiamo star qui, oltre il limes, dove c’è povertà, un ambiente naturale difficile, dove siamo in troppi per le scarse risorse di queste terre, dove dobbiamo temere altri popoli (mongoli, turchi) più “barbari” di noi che arrivano da oriente? Perché dobbiamo continuare a restare nelle foreste e nelle steppe quando dentro i confini dell’impero potremmo vivere meglio? Entriamo nelle terre di Roma e troveremo la pace e il benessere”. Mica che oggi succede qualcosa di analogo?

Nota bibliografica: credo ci sia più d’un libro che tratti la decadenza e la fine dell’Impero Romano; io ho letto con interesse “Barbari – immigrati, profughi, deportati nell’Impero Romano”, di Alessandro Barbero, Editori Laterza, Bari, 2006; è storia, ma in molte pagine sembra cronaca.

E com’è andata a finire, a Roma? Che lo stato, le strutture politiche, militari e amministrative dell’Impero dapprima hanno cercato di impedire ai barbari stranieri di valicare i confini ed entrare nell’impero; poi si sono resi conto che a tenerli tutti fuori non ci riuscivano e hanno cercato di gestire l’afflusso di questi popoli “migranti” con leggi, norme, azioni politiche e militari, un po’ con le buone e un po’ con le cattive; tanto più che molti di quelli che arrivavano tornavano utili, come soldati, come contadini (non li mandavano a raccogliere pomodori nel Casertano solo perché Cristoforo Colombo non aveva ancora portato i pomi d’oro dall’America), come operai… Poi hanno dovuto prendere atto che quelli di fuori erano davvero troppi, che non bastava farne entrare legalmente cinque e respingerne dieci perché ce n’erano altri venti che entravano illegalmente (attraversando il Danubio a nuoto o traghettati in barca dalla malavita organizzata, forzando con le armi le guarnigioni di confine o corrompendole col denaro, alla spicciolata a piccoli gruppi o a centinaia con le famiglie intere bambini e vecchi compresi…). E quando ce l’avevano fatta baciavano la terra romana felici e orgogliosi di essere finalmente arrivati nell’Impero della Civiltà. Come oggi fanno gli africani che sbarcano a Lampedusa [e come facevano un secolo fa gli italiani che arrivavano a Ellis Island, non dimentichiamocelo].

Quando Roma si è trovata ad avere nelle sue provincie periferiche più abitanti di recente immigrazione che gente autoctona di antica romanizzazione, quando quei goti e alamanni diventati cittadini romani da pochi anni e che parlavano poco o nulla il latino sono diventati l’unica forza militare dell’Impero e sono stati a mandare a combattere i loro ex-compatrioti goti e alamanni che ancora restavano fuori dai confini, beh, a un certo punto il meccanismo si è rotto. Perché essere diventato cives romanus era un onore senza uguali per qualunque abitante delle terre barbare e soprattutto per i loro re ma andare a combattere gente che parla come me, pensa come me, veste come me, beve birra come me, puzza come me, prega come me.. non è sempre facile nemmeno in nome dell’Urbs Caput mundi, nemmeno se ora non sono più Egilulf capo di una anonima tribù di barbari senza legge ma il Generale Egilulfus comandante della XV Legio di Roma. Non ci siamo ancora arrivati, a questi punti, per fortuna…

Però c’è una differenza importante tra noi e Roma, ed è negativa per noi: oggi esistono popoli giovani e prolifici – dove la vita vale poco e quindi costa poco il lavoro – dove la tecnologia è ben sviluppata e dove c’è una élite di ricchissimi che possono comperarsi le cose nostre con facilità. I romani questo genere di nemici non ce l’avevano, loro dovevano solo fronteggiare i barconi di Lampedusa non anche gli imprenditori cinesi e tailandesi e gli sceicchi del Qatar che si comperano industrie, marchi commerciali, compagnie aree e squadre di calcio. E poi non esistevano industriali romani che chiudevano le fabbriche in Italia e in Gallia per andare ad aprirle a minor costo in Sarmatia o nel paese dei Garamantes. Sono differenze importanti, che complicano parecchio le cose per noi europei che continuiamo a sperare in una futura “ripresa economica” forte e definitiva, noi seicento milioni di europei litigiosi ed euroscettici che sogniamo un Regno di Scozia, un Granducato di Padania, un Marchesato della Catalogna, un Principato di Seborga senza pensare che dobbiamo e ancor più in futuro dovremo confrontarci con un miliardo e trecento milioni di cinesi, un miliardo e duecento milioni di indiani, e gli altri che seguiranno…

Ogni tanto mi trovo a chiedermi come avrei potuto essere stato se, per esempio, fossi nato nel 159 d.C. e stessi vivendo i miei 56 anni d’età nel 215; se fossi un Joannes Ab Alio, civis romanus di Genua. Suppongo che crederei in Dio e lo pregherei seguendo la religione “dei padri” ma senza essere bigotto, avrei qualche amico o conoscente convertito alle nuove religioni orientali ma personalmente non sentirei il desiderio né la necessità di convertirmi pur desiderando conoscerle almeno un poco; sarei interessato alla civiltà e alle lingue dei barbari ma senza farmi entusiasmare da esse, sarei preoccupato per le sorti della mia civiltà e spererei che i nuovi padroni che prima o poi arriveranno sappiano comprendere, rispettare e possibilmente amare i valori della mia cultura e i suoi simboli importanti, come i monumenti, i libri e le arti. E pazienza se chi erediterà i miei libri non si chiamerà più Joannes o Antonius o Marcus ma Sigeric o Odoacre o Agilulfo, pazienza se non parlerà più latino ma germanico, se non berrà vino ma birra e non userà l’olio ma lo strutto e se pregherà Dio non chiamandolo Zeus ma Cristo o Thor; l’importante è che conservi i miei libri e li legga e impari ad amarli; l’importante è che quanto più dei concetti fondamentali e degli oggetti simbolici della mia civiltà romana rimanga, che i nuovi padroni li considerino un’eredità da rispettare, valorizzare, assimilare e non oscenità da distruggere e dimenticare. Grosso modo allora è andata così, se pur attraverso tanta violenza e tanti travagli. Andrà così anche per noi e per l’Europa? Io immagino di si, spero di si; peraltro del diman non v’è certezza, com’è noto.

(Scritto il 31 maggio 2015)

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