Per percepire qualche forma di presenza divina nella natura non è necessario dire “Deus sive Natura” come Benedetto Spinoza (frase che io comunque cito sovente perché sotto sotto mi piace).

Ildegarda di Bingen era una che di Dio se ne intendeva e attraverso le sue visioni mistiche lo conosceva “di persona”, e lo conosceva come un’entità ben distinta dal mondo da Lui creato. Eppure parlava di “sancta viriditas”, la sacra forza del verde “O nobilissimo verde, che affondi le radici nel sole e risplendi in chiara serenità… Tu, verde, sei circonfuso d’amore”. Natura che partecipa dell’amore e della forza divina, insomma.

Mi piace questo sacralizzare la parte verde della natura perché sono convinto anch’io che il mondo vegetale ha una “forza” che noi animaliuomini faremmo bene (facciamo bene, chi lo fa) a percepire e assimilare, per migliorare la nostra vitia psichica e fisica; percepire e far nostra essenzialmente vivendo il più possibile in mezzo alle piante, rispettandole e amandole. Amandole come nostre simili.

Non ridete di me (oppure, se volete, ridete pure, mica mi offendo…). Sono serissimo quando penso e dico che le “mie” piante, le “nostre” piante – quelle che vivono sui balconi e nel bagno della casa di Genova, quelle della casa e del (sontuoso) giardino di Sanremo, quelle del giardino di Voltaggio, quelle del giardino, del frutteto e dell’amatissimo e sempre più selvaggio bosco di Ormea – sono per me membri della famiglia a tutti gli effetti, esattamente come Donatella e i gatti Codamozza, Sparisci e Oscar (e i tanti animali di famiglia ormai defunti), mia mamma e il mio fu-padre, mia sorella e mio cognato e i miei nipoti, gli zii e i cugini, i miei furono-nonni…

Donatella ama soprattutto le piante da fiore e i colori dei fiori, io mi innamoro soprattutto degli alberi ma in fondo fa poca differenza.

Gli alberi hanno molte cose belle nella loro natura di albero, in primis la bellezza estetica, l’eleganza di portamento, la maestosità della struttura; poi direi che gli alberi stanno ai fiori come i gatti stanno ai cani: sono più indipendenti, più autonomi, non hanno bisogno delle tue attenzioni costanti per vivere ed essere felici. Dei gatti si dice che “non si può possedere un gatto, al massimo si è soci alla pari”. Allo stesso modo, secondo me, non puoi possedere un albero: lo puoi uccidere, lo puoi menomare potandolo ma non ne condizioni la vita e la crescita come invece puoi fare con le piante da fiore, gli ortaggi, le erbe…

Poi, spesso, sono longevi e “eterni” almeno su scala temporale umana: il grande cedro dell’Atlante e il lunghissimo sottile abete bianco che svettano nel giardino di Voltaggio alti il doppio della casa, l’enorme pino d’Aleppo del giardino di Sanremo erano già lì quando io e Donatella siamo nati e se fulmine o violenza umana non li ammazzeranno anzitempo saranno ancora lì, vivi e altissimi, quando noi saremo morti. In questo senso si avvicinano all’eternità dell’universo e di Dio molto più di quanto riusciamo a fare noi presuntuosissimi Homines sapientes.

Dici: ma noi c’abbiamo l’anima, che è eterna. Ehhhh…. intanto ciò non è dimostrato, ma se anche fosse (io comunque ci credo, all’anima), sei proprio sicuro che gli alberi, gli esseri viventi non umani in genere, non abbiamo una loro anima altrettanto eterna della nostra?

Una cosa che mi affascina è accorgermi che un nuovo piccolo albero è nato, e da questo momento vederlo crescere e diventare grande. Ciò succede spesso (anche troppo spesso, e purtroppo a volte occorre commettere degli infanticidi) sia nel giardino di Sanremo sia nel bosco di Ormea. Segno questo, secondo me, che sia il giardino sia il bosco sono ambienti naturali sani e felici, dove per una pianta è bello vivere e procreare, dove è bello nascere e crescere.

Non è possibile ormai contare gli alberi (faggi, frassini, roveri, susini, castagni…..) nati spontaneamente nel bosco di Prale-Ormea e ormai diventati molto più alti di me. Sono ancora dei ragazzini, il bosco fu acquistato da mio padre boh, al massimo trent’anni fa e nei primi anni ci passavano capre e mucche a far piazza pulita dei giovani virgulti, quindi i più vecchi avranno quindici, vent’anni. Però sono già “alberi”, ed è bello tutto ciò.

Mio padre era uomo di solida formazione culturale europea e (demo)cristiana, cresciuto in un epoca (mica la preistoria, era nato nel 1930) in cui l’Europa era ancora abbastanza al centro del mondo. Come lontana conseguenza di questa forma mentis, c’era la sua incapacità di accettare e di capire il pericolo della deforestazione selvaggia di molte parti del mondo, Amazzonia, Borneo… perché lui, eurocentrico, vedeva che in Europa, in Italia, a Voltaggio e a Ormea le foreste e i boschi aumentano (e di tanto) la loro superficie, la loro “forza” e quindi dov’è il problema?….

A Sanremo in giardino estirpiamo ignobilmente palme, ligustri e pitosfori neonati perché non ci sarebbe davvero spazio per tutti in giardino; alcuni me li porto a Genova per farli crescere in vaso, ma anche a Sanremo come a Ormea nasce di tutto che è un piacere. E facciamo finta di non accorgerci dei fichi, dei pini, dei pruni che pure nascono e che certamente non potranno diventare tutti adulti perché davvero dovremmo andarcene noi, non c’è spazio per tutti lì dentro, ma per ora li lasciamo vivere la loro spensierata giovinezza e poi chissà.

Un piacere, un profondo piacere spirituale ed emotivo, e anche fisico, si. Vedere nascere e crescere nuova vita vegetale. Luisa Giugni a parte, che me lo regalò tanti anni fa e quindi lo conosce, avete mai letto “L’uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono?

(Scritto il 21 luglio 2010)

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