“Quando il mio ultimo giorno verrà
dopo il mio ultimo sguardo sul mondo..”
viene per tutti, il giorno dell’ultimo sguardo sul mondo. Anche per gli oggetti artificiali e meccanici – come le automobili – che secondo quasi tutte le filosofie e le religioni del mondo sono enti insenzienti, inanimati e privi di coscienza, per i quali quindi non si può parlare propriamente di morte. Ma quando uno possiede per 13 anni un’auto con la quale percorre 220.000 km in giro per l’Italia e l’Europa da solo o in compagnia di persone a cui vuol bene, insomma, me l’ha detto persino il demolitore, ieri, che avevo tutti i diritti di essere un po’ commosso, quando l’ho lasciata là, nello stretto e untuoso vico Cibeo in Sampierdarena, affinché venisse rottamata, demolita, cancellata dal PRA. Vera eutanasia, che per le auto è moralmente lecita anche nella cattolicissima Italia.
Pare che ci sia anche chi, con scuse futili, torna il giorno dopo a rivedersela, la sua amata automobile, prima che scompaia del tutto.

Sulla Y10 “1100 i.e. cat” color canna di fucile, posai per la prima volta il mio scarno sedere nel 28 maggio 1993: 12 anni, 10 mesi, 16 giorni fa, se ho contato bene.
Abbiamo percorso insieme 219.099,9 km.
La targa era ancora di quelle con la provincia, prima della targhe “alfanumeriche”: GE E426.. (i puntini sono per la privacy…)

Boh, lo so che c’è chi cambia automobile ogni pochi anni con la disinvoltura con cui si buttan via le scarpe rotte e i calzini bucati. Io… beh, per me le auto sono sempre state un membro della famiglia, un pezzo di casa mia, un exclave di me stesso in qualche modo, un “pet”. Da trattare con la dovuta partecipazione emotiva.

Le sue ultime battaglie vinte risalgono al maggio dello scorso anno, coi 3000 km in una settimana nel viaggio in Campania, e a fine giugno con l’assai più breve giro nella montagna cuneese, a Bersezio.
Il tremendo “buco del radiatore” sull’autostrada alle 2 di un mattino di prima estate l’aveva acciaccata molto, ne era poi guarita ma non era tornata proprio come prima; ha passato gli ultimi mesi quasi sempre ferma in garage, l’avevo portata soltanto un po’ in giro su e giù per il Righi, fra i pini e i forti, a godersi i panorami su Genova e sul mare. Il Righi è l’altro (oltre a Pontetto) dei miei luoghi dello spirito, cronologicamente anzi è il primo, lo amavo già a diciott’anni, e vi imparai a guidare, anche. E se non ricordo male, la neonata Y10 ebbe subito validi motivi per imparare a conoscere quelle strade lassù, Mura delle Chiappe e dintorni.

Vari anni dopo arrivò Donatella, e la battezzò Trappoletta.

Ieri, giovedì 13 aprile, io e la Trappoletta abbiamo fatto l’ultimo giro su al Righi, poi siamo scesi verso Sampierdarena. Intorno al forte Sperone ha iniziato il suo canto del cigno in senso letterale, “l’ultimo suo grido di animale” come la locomotiva di Guccini: si è bloccato l’acceleratore quasi sul massimo e siamo scesi giù col motore su di giri e il piede pigiato sul freno, lei che gridava come un maiale avviato al macello, quasi avesse capito dove la stavo portando, io a frenarne gli eccessi coi pedali e col cambio.
Intorno a noi splendeva una delle prime giornate di vera primavera, cielo limpido e asciutto, sole abbagliante, aria tiepida. It was a good day to die, come canta Robbie Robertson.

La nuova Panda 4×4, rossa, arriverà verso fine maggio. Le auguro di essere anche lei longeva oltre il ragionevole, mi auguro di amarla come ho amato la Trappoletta. Sulla longevità non posso saper nulla, ora, sull’affetto si, credo di saperlo, vorrò molto bene anche a lei.
Dite pure che son grullo, a essere triste oggi per aver dovuto demolire la vecchia Trappy, probabilmente avete ragione. Ma oggi sono triste, perché la Trappoletta non c’è più.

Il re è morto, viva il re! La Y10 è morta, viva la Panda! Chissà che nome avrà…

(Scritto il 14 aprile 2006)

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