Il Paradiso Terrestre non l’ho inventato io. Però doveva essere un bel posto, peccato i nostri bis-bis-tris se lo siano goduti per così poco tempo. Comunque, fatti loro, ormai…
L’han chiamato così, si dice, perché in persiano antico “paradiso” significava giardino, parco, quindi quel posto era un giardino, anzi, il Giardino. Quel bravuomo di Dio (quel bravdio di Yhwh-Dio-Allah) per far viver felici i suoi pupilli Adamo ed Eva gli aveva preparato un giardino, che dove meglio che fra piante e fiori si può vivere felici?
Avete mai giocato a immaginare come poteva essere ‘sto paradiso terrestre? Io si. Solo ogni tanto, che non è uno dei miei pensieri ricorrenti, lo ammetto. Ci ho ripensato un paio di settimane fa, a Meta di Sorrento. Nella sua lussureggianza giunglesca, fiorita, alberata, fruttosa, animalesca, il giardino di Maria e Salvatore, più ufficialmente definibile come giardino del Bed & Breakfast “La gallina felice”, fa un po’ pensare al Paradiso terrestre. O almeno io, fatte le debite proporzioni (Maria e Salvatore certo non sono Adamoedeva), il P.T. me lo immagino un po’ così, alberi vari e mescolati, piante diverse che vivono tutte insieme fiorendo e ramificando un po’ come voglion loro, animali che si fanno i fatti loro (nella fattsipecie galli, galline, pulcini, Sofia – una cagnona tendente all’enorme e affettuosissima – papere, lemuri – elusivi, questi – pesci rossi, tartarughe se non ricordo male..), un limone caduto lì, altri sui rami là, rose che rosificano avvinghiate ai tigli…..
Detto così può sembrare tutto un casino invece giuro che non lo è. O per lo meno, lo è ma c’è del metodo in questa pazzia. E’ un giardino pieno d’amore e di passione, dove in realtà c’è sotto la mano della botanica esperta, che chiama per nome tutte le varietà di rosa coi loro fiori variopinti e varioprofumati, le salvie (ma quante salvie ci sono? Io ne conoscevo una sola), le pincopalle, tutta roba che ha piantato lei, che cura e sorveglia e che palesemente ama come le sue figlie. Poi ci sono i limoni e gli agrumi, preesistenti al roseto e al giardino, che producono di quei limononi sorrentini che qui in Liguria non riusciamo nemmeno ad immaginarli, grossi quasi come pompelmi ma assai più bitorzoluti. E in mezzo a tutta ‘sta vegetazione prospera una fauna ricca e chiaramente lieta (“felice” secondo me è una parola grossa, la felicità è impegnativa e rara, fra gli uomini e forse anche fra gli animali), fra cui spicca il pollame, a cui è garantita la vecchiaia – non li si mangia! – e che vede riuniti un po’ di galli e altrettante galline, gli uni fondamentalmente intenti a cantare (cantare?? chi è il sordo che quando hanno inventato la lingua italiana ha detto che il gallo “canta”?) al mattino, le altre a covare, portare a spasso pulcini, e tutti insieme a dormire la notte sugli alberi.
Che sarà la cosa più ovvia di questo mondo ma a me ha stupito assai: i galli e le galline, se scevri da pollai, di notte volano sui rami degli alberi – 3, 4 metri da terra – e dormono lì, come se fossero veri uccelli. Non mi aspettavo proprio di trovar sti polli a sì vertiginosa altezza, e mi sarebbe piaciuto vederli mentre salivano, ma non ho mai colto l’ora giusta. O li vedevo a terra, a razzolare e cantare, o lassù.
Ma volano davvero, le galline? O è Salvatore che li mette su a mano uno a uno ogni sera?

Il B&B, a parte le galline e le rose, è lodevole per altre ragioni di quelle che rasserenano l’anima; ad esempio si fa colazione in veranda, al fresco di grandi alberi tropicali, palme, un “baobab” che baobab non è ma fa lo stesso, si gioca con Sofia, un po’ slinguante a volte ma va beh, si chiacchiera con M&S che sono tanto discreti (nel senso che non ti disturbano se non ne hai voglia) quanto gioviali (al punto di averci offerto la cena fuori l’ultima sera – ma lo fanno con tutti gli ospiti o solo coi più simpatici? Comunque grazie); chi è di pronta sveglia mattutina può farsi un giro in giardino al fresco alle 7 a.m. senza disturbare né essere disturbato, prima di colazione; si possono leggere e sfogliare le numerose riviste di arte e storia che illustrano all’ospite le multiformi e preclare bellezze artistiche naturali e culturali della Campania Felix…

E poi ci sono dei bei dintorni, diciamocelo. Alcuni li sapevo già, ma repetita juvant, com’è noto.
Nel generale concetto di “dintorno della Gallina Felice”, permettetemi di includervi le seguenti cosette:

la villa del Vanvitelli di cui il giardino di Maria e Salvatore è una parte. Un po’ sciatta, ormai, ma ancora elegante, imponente e colorata;

gli agrumeti e i limoni giganti già citati, robe che solo lì. Gli agrumeti hanno una caratteristica che ignoravo e mi ha interessato, quasi come la nanna dei galli arborei: gli alberi vengon coperti da reti nere leggere, sostenute da una fitta palizzata di legni alti, per proteggerli dal sole, controllarne l’umidità eccetera: ciò che appare al viandante è quindi come un bosco misto di alberi verdi (gli agrumi) e spogli (i pali), una struttura piuttosto curiosa, almeno per me che non ne avevo mai visti;

l’agriturismo “l’Agrumeto”, anch’esso a Meta, di piacevole e poco costosa cena – cucina di terra – coi due gestori, affabile famiglia da cui abbiamo cenato 3 sere e con cui abbiamo chiacchierato cenando come con vecchi conoscenti, simpatici quanto M&S. Da tornarci, next time;

la feracità della terra, ovunque ma soprattutto apud Vesuvio (ovvio, i terreni vulcanici son fertilissimi) che riempie di orti frutteti boschetti ogni minimo anfratto non edificato di quella pur orrenda periferia che è la zona a sud di Napoli fino a Castellammare di Stabia. Orribili gli edifici, ma nel loro piccolo molto belli i pezzi di terra coltivata, coltivata appunto dappertutto. Campi di aglio in fiore, non saran roseti ma non son mica brutti, poveretti.

Ercolano e massime la villa “di Poppea” ad Oplontis, oggi Torre Annunziata. Bellissima, affrescatissima, deserta di visitatori perché poco nota, vale una visita assolutamente. Ma anche la taverna con le anfore sugli scaffali, ad Ercolano, chissà se qualcuno ci faceva i “birrinos cum Uge”, temporibus illis…

Sorrento, elegante, vivace, di bei palazzi e belle ville, e la sua scogliera che a parte il colore più scuro fa tanto bianche scogliere di Dover, la città è quasi piana e poi bramm, la roccia precipita giù in mare di botto. Qualche canyon stretto e ripido che la taglia, alcuni coperti da vie e piazze, altri usati come discese per scendere al mare, al porto, ai traghetti. E le ville, oggi spesso alberghi eleganti, che si affacciano sul mare dalla scogliera fra Sorrento e Vico Equense…
Peccato che ai piedi di sì suggestiva scogliera ci siano alcune spiaggette che se non sono attrezzate son zozze. Domenica pomeriggio tardi, le frotte di ragazzi napoletani (in senso lato) che risalivano con sudore dal mare alla stazione della Circumvesuviana di Meta si lasciavano indietro sulla sabbia nera e in mare una tal schifezza di bottiglie vuote, cartacce, rumenta/monnezza d’ogni tipo… ignobile.

L’efficienza dei mezzi pubblici sorrentini, non solo l’ottimo treno metropolitano della Circumvesuviana, ma anche gli autobus, che son normali bus ma alle fermate c’è l’orario delle linee con ore e minuti dei passaggi! Cose che a Genova ce le sogniamo! Prima di Sorrento io gli orari precisi al minuto (e fondamentalmente rispettati) esposti a tutte le fermate ricordo di averli trovati solo a Zurigo e in Olanda.

Positano e le sue sudorifere scalette. Che se fai il genovese tirchio e posteggi alto sulla statale invece di cercare il parcheggio interno a 3 euro l’ora, poi scarpini. In giù all’andata, e vien facile. E in su al ritorno, e son c… Ma il Turista è nato per soffrire, no?

Ravello e i panorami luminosissimi e senza confini (afa a parte che vela l’orizzonte) delle sue ville; il duomo col pergamo e il piccolo museo, le vigne verso Scala… un po’ simile alla Liguria di estremo levante, un po’ Cinqueterre. Proprio un gran bel posto, a parte la fatica di salire i tornanti insieme o contro ai pullman turistici tedeschi o bresciani, troppo grossi per queste strade.

Gli scialatielli, pasta lunga e spessa veramente buona. Non ricordo se ce ne siamo portati su un po’, temo di no. Qui qualcuno li vende? Io non li ho mai visti.

La villa di Axel Munthe ad Anacapri, anche qui giardinone e panoramone come a Ravello, peccato la turba di teutoniche in menopausa che la affollava insieme a noi. Abbiamo toccato il sedere alla sfinge che guarda l’infinito, pare che porti fortuna…

Il retro di Capri, che se lasci la piazzetta e ten vai per stradine nascoste trovi pochissimi turisti e i veri capresi, ragazzini che escono da scuola, massaie coi sacchi della spesa, idraulici che lavorano… come a Venezia, che se abbandoni la piedostrada Stazione-Rialto-San Marco e ti intrufoli per calli e campielli non segnalati cammini nel silenzio e nella pace alla faccia dei giapponesi. Anche a Capri.
Seconda volta a Capri, seconda volta senza Grotta Azzurra. Ma la terza…

L’Arco naturale e il belvedere dei giardini che stanno prima dell’ingresso di Villa Jovis in cima a Capri, col mare verde e la villa di Malaparte giù di sotto. Mica per niente Tiberio si era fatto la villa lassù. Gli imperatori romani, come i cardinali e gli abati dei monasteri, erano gente che sapeva vivere…

I portali in arenaria grigia (sarà arenaria? O tufo? ah, la mia geologia!…) di molte case di Meta, Sant’Agnello, Piano e Sorrento, case magari rifatte moderne ma con questi bei portali antichi… Meno decorati e scolpiti di quelli medievali in ardesia di Genova, ma accontentiamoci…

La reggia di Caserta: la Versailles del Sud. Tutti i quasi 3 chilometri di parco percorsi a piedi a/r, tutto, più visita al giardino all’inglese, e meno male che il temporale è scoppiato quando eravamo già entrati a visitare gli appartamenti se no… Poi, anzi prima, le rondini che volavano bassissime sui prati e sulle vasche del parco (aveva ragione il maestro Dini alle elementari quando ci insegnava che se le rondini volano rasoterra sta per piovere!), le carpe giganti che snuotazzano nelle vasche suddette, gli alberi più che dugentenari del giardino inglese, l’impegno del giovane che guidava la visita, molto simpatico pur nel suo eloquio un po’ forzatamente forbito. Come di uno che fino a sei mesi fa parlava solo dialetto e ora deve fare il dotto. Ma si impegnava bene, bravo sinceramente.

Casertavecchia, splendida di cattedrale e case in pietra antica, silenziosa, le verande di ristoranti da cena romantica o chiassiosamente amicale con menù sfiziosi, i mostrilli goticheggianti della facciata della cattedrale… e i cani randagi in giro per le strade diserte con la faccia triste e affamata…

Napoli. Che come le altre volte che c’ho passato del tempo, me la godo assai di più standoci un po’ di giorni di fila, camminarci dentro per una giornata tutta intera e solo quella rende sta città un po’ caotica, rumorosa (come in effetti è) e diventa più difficile percepirne la bellezza e la gioia di vivere che trasuda dalle sue strade, dalla gente, dall’atmosfera generale. Napoli è meglio una settimana che un giorno solo, insomma. Mi ha fatto piacere tornare a pranzo nella trattorietta davanti all’università (rampa di San Giovanni se ben ricordo, a metà di via Mezzocannone) dove pranzai alcune volte durante il congresso di cristallografia del settembre 99. Ci siam salutati, col gestore. Era un tipo simpatico che aveva vissuto a Genova, gli inviai, a congresso concluso, una mia appena uscita Guida di Genova della Sagep, tornandoci ne abbiamo riparlato, ce l’ha ancora naturalmente. Mi ha chiesto quando scriverò una guida di Napoli. Chi me la finanzia? Fatevi sotto, siore e siori!

Se di Napoli è meglio averne una settimana di fila piuttosto che un giorno solo, di cene come quella che ci hanno offerto Maria Grazia e Paolo in quel di via Aniello Falcone, Vomero vista penisola sorrentina (foschiosisssssima ahinoi) ne basta una al mese: spaghetti con le vongole, impepata di cozze, pesce spada alla griglia, MOZZARELLA DI BUFALA DI CASERTA!!!!!! una delle cose che dimostrano ontologicamente l’esistenza di Dio, immersa la mozzarella in una congerie di altri formaggi che non sono riuscito ad assaggiarli tutti tanti erano, e per me rinunciare a dei formaggi è cosa terribile e rara!. Più frutta, gelato, limoncello, vino bianco sannitico…. Dio quanto abbiam mangiato, lassù al Vomero! Ospitalità veramente squisita! Come il cibo.
A mezzanotte tornando by car a Meta Donatella era un pochino più attenta del solito alla mia guida, temeva che l’eccesso di alcool e di formaggi mi obnubilassero la mente e il volante, e su quella fetenzia di autostrada che è la Napoli-Pompei-Salerno, sarebbe stato pesante perdere contezza di me mentre guidavo… Ma grazieadio reggo ancora bene e il vino e il formaggio, quindi siam tornati dalle happy hens sani e salvi.

Ischia è più bella, più elegante e più verde di come me la immaginavo. Sarà anche molto costruita, ma mi pare edificata in maniera delicata e con generale buon gusto. Peccato la villa di Lady Walton fosse chiusa, col suo mitico giardino ma insomma, mi pare un’isola da tornarci e studiarla con più calma, ecco. Più bella Ischia o Capri? Boh, prima pensavo Capri, ora non so più bene.

Last but not least, il ristorante Nalesso, sito a Rispescia di Grosseto, Toscana, SS n°1 Aurelia, km 174, lato mare carreggiata sud, verso Roma. Ma salendo a nord si esce allo svincolo subito dopo e si gira, è facile. Ci abbiam pranzato all’andata e al ritorno, è giusto a metà degli 890 km che tengono Sanremo lontano da Meta di Sorrento. L’ampio, barbuto e sudacchiato giovane gestore mi ha promesso che se la prossima volta che passiamo di lì avvisiamo con un poco di anticipo mi prepara il cinghiale “selvatico” di Maremma, “quello che scappa” – nel senso non quelli semidiallevamento – che pare sia the best. Sono propenso a credergli. Torneremo, torneremo…

(Scritto l’11 giugno 2003)

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