Chi mi conosce abbastanza bene sa che ci sono alcune cose nell’universo che secondo me dimostrano ontologicamente l’esistenza di Dio: gli alberi, le nuvole bianche da vento, i fiumi, le colline morbide tipo le Langhe, i tuoi occhi, i cieli stellati in montagna, il mare, i gatti, il vino, la Luna piena…..
Come cambia le cose / la luce della Luna / Come cambia i colori qui / la luce della Luna / Come ci rende solitari / e ci tocca
Si narra nel Signore degli Anelli, anzi nel Silmarillon, (che viene prima) che quando Eru, l’Uno, che in Arda è chiamato Iluvatar (Dio insomma), creò il mondo, fece le stelle. E per i primi tempi la Terra fu illuminata solo dalla luce delle stelle. Cosicchè gli Elfi, che furono la prima delle Razze Parlanti a vivere nella Terra-di-Mezzo, si abituarono a quella luce fioca e azzurra, e svilupparono una vista acutissima. Quando comparvero il Sole e la Luna il mondo si rischiarò ma loro continuarono ad avere un senso della vista molto più sviluppato degli altri, Ent, Uomini, Nani, Hobbit, Orchetti, Vagabondi…
I primi racconti delle Cosmicomiche di Calvino narrano della Luna, che faceva cose bellissime, soprattutto quella di avvicinarsi tantissimo alla Terra, sì che era possibile saltare da una all’altra e viceversa. E c’è anche chi si innamorava della Luna, e chi si innamorava di chi era innamorato della Luna, insomma, si sa che la Luna ha a che fare con gli innamorati ma spesso è un guazzabuglio anche lì.
Ricordo due sere di luna piena a Ripatransone, provincia di Ascoli Piceno, durante un campo scout, nel lontanissimo ‘80 o giù di lì. Le colline coi paesi in cima, illuminati stile presepe dalle lucine sulle strade, i campi grigiastri-marroncini da novembre, e su tutto la luce bianca della Luna che veramente cambiava i colori come dice Fossati. Camminare e leggere, osservare i compagni di route e vederli azzurrini, era il ritorno da un giro di due giorni e si percorrevano le stradine molto di campagna collinare bellissime sotto questa luce così impossibile da vivere quando si è in città o nei suoi dintorni, col cielo sempre accecato dalle luci artificiali. Bisognerebbe stabilire per legge che le notti di luna piena, quando il cielo è sereno e limpido, vengano spente tutte le luci finte, lampioni, case, auto, e si scoprirebbe (con stupore dei più) che la Luna basta e avanza per vedersi, muoversi, leggere, parlare, abbracciarsi, comunicare, anche guidare, con juicio naturalmente. E magari farlo anche nelle notti senza luna, col solo chiarore delle stelle. Così per gioco. Ricordo anche una notte di agosto al campo scout di Upega, diciamo 81, avevo portato a casa un prete della zona che ci aveva detto messa e da dove si lasciava l’auto al campo c’erano un buon quarto d’ora a piedi. Era quasi mezzanotte e non avevo pile, quindi son venuto su al buio, solo con le stelle, fra gli alberi, e in un certo senso non si vedeva nientissimo ma l’occhio si abitua al buio più di quanto uno si immagini, e la notte non è mai così buia, insomma, le tenebre non vincono mai veramente del tutto la luce.
Cerco di immaginare cosa devon essere un cielo stellato e un cielo lunato nelle regioni del mondo veramente limpide e buie: deserti, oceani.
Due domeniche fa, tornando da Nervi dopo aver cenato con i colleghi dell’Università, diretto alla pizzeria dove si festeggiava il compleanno di Antonietta, l’improvvisa benevolenza delle uggiose nubi maggioline mi ha offerto qualche attimo di luna circa piena sul mare, sfondo Portofino. Gialla gialla, un giallo intenso, ché la città incombente comunque le impediva di biancheggiare a dovere. Ma lo sbirluccichio del mare dorato in campo nero bastava a rendere l’idea. Poi Corso Europa mi ha costretto a guardare la strada, e addio poesia. Ma mi è bastato.

(Scritto il 24 maggio 1995)

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