Una delle massime gioie esistenziali della vita è trafficare in casa all’ora di cena mentre i gatti dormono in diverse stanze. Sono i Lari della casa, mi danno serenità, un senso di pace universale e mi aiutano a riflettere sulle cose del mondo con profonda leggerezza, con leggerezza calviniana.

Qualunque orribilezza del mondo, la guerra, il caro bollette, la siccità e le alluvioni, la mafia, qualunque schifezza perde di importanza perché osservare Rocco o Polvere o Paprika che dormono acciambellati con gli occhi chiusi e il respiro leggero ti fa sembrare il mondo un piccolo paradiso.

Forse lo stesso effetto lo danno i bambini piccoli addormentati. Mia sorella (che ha cani e figli ed ebbe anche gatti) commentava che invece i cani non producono lo stesso effetto perché “i gatti dormono per il proprio piacere di dormire, il cane deve essere sempre vicino a noi, dorme in funzione di ciò che facciamo noi, si gode il sonno meno del gatto… Il bambino che allatta in armonia con la mamma dà – come il gatto – quella sensazione che il mondo che importa è tutto lì e tutto ciò che sta fuori non ha importanza”.

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Il libro “Quattro gatti”, scritto da Fiorella Cagnoni, Zelig Ed. 1995, è un omaggio che ho ricevuto dall’amica Daniela D. quando chiuse la sua casa di Milano per trasferirsi definitivamente in Toscana; aveva più oggetti che spazio a disposizione così si liberò di diverse cose tra cui alcuni libri. Questo decise che poteva addirsi a me. Ed ebbe ragione.

A parlare nel libro sono quattro gatti che hanno avuto esperienze diverse e adesso vivono insieme nella casa di una Padrona che li ama ed è molto da essi riamata. Cito solo quattro passaggi:

“mi sta insegnando non soltanto l’amore ma l’amore per la vita. Cioè per il mondo, il mondo com’è nel suo insieme, comprese le meraviglie e gli incantesimi; comprese le fatiche, le durezze, gli imbrogli e le brutture. Poi si potrà tentare di cambiarlo, di eliminarne gli imbrogli e le brutture. Ma bisogna amarlo, per desiderare di cambiarlo”

“Io credo in ciò che definisco destino: non un accadere inesorabile e cieco, ma l’incastro – più o meno armonioso – di eventi personali e differenti che, come i nodi giungono a un dente di pettine, perfezionano i propri significati in un incontro”

“C’erano due figli grandicelli, un maschio e una femmina, e una terza piccolissima nella culla. Eravamo tutti comunisti. Mi è sempre sembrato bello, importante, confessabile e felino, essere comunista” (Non ho mai parlato di politica coi miei gatti, potrei farlo, chissà cosa mi risponderebbero)

“Un gatto non è quasi mai subalterno all’umano con cui vive; è infatti pressoché impossibile porsi in atteggiamento di subalternità con un buon Padrone perché egli vive con noi proprio perché apprezza la nostra capacità di libero consenso. Non si può divenire dipendenti da chi aborrisce le nostre debolezze in questo senso”

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Mentre quel genio del blues di Zucchero canta “Dune mosse” in un video di YouTube accompagnato da quel genio della tromba di Miles Davis, Polvere e io ci coccoliamo faccia-muso, mano-mento, naso-vibrisse. Un ottimo modo – bellissima musica + amatissimo gatto – di accompagnare il farsi buio della sera autunnale in attesa del Tg3 regionale.

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I primi gatti che incontrai a Sanremo a casa di Donatella, era il giugno 2000, furono Musetto, Bimbo e il Nero. Il Nero stava già male è morto poco dopo; Musetto, splendida gatta tricolore, è stata la regina della casa e del giardino fino al 2009; Bimbo, tigrato grigio (come Rocco) mi odiava: si metteva tra me e Dona proprio tra i due cuscini nel letto, che fosse chiaro che io ero solo un intruso tra sua mamma e lui. Gatti sul letto ne abbiamo sempre avuti, ma addosso alle gambe o ai piedi. Bimbo stava tra i cuscini. Mi detestava e io non sono riuscito ad affezionarmi a lui. Eravamo entrambi impreparati alla reciproca convivenza.

Bimbo aveva la FIV ed è morto nel 2002. Una mattina che ero a Genova alle 6,30 arriva una telefonata di Donatella “Bimbo non ce la fa proprio più, devo portarlo dal veterinario per l’eutanasia ma da sola non ci riesco, è una cosa troppo triste, per favore vieni”. Alle 7 sono partito e alle 8 e mezza ero là. Lo abbiamo messo nel trasportino e siamo andati dal veterinario, che però non era ancora arrivato allo studio quindi ci siamo fermati sul marciapiede davanti al suo portone.

Dona non ce la faceva a vedere il suo amatissimo Bimbo moribondo quindi stava un paio di metri distante e accanto a dirgli un po’ di paroline dolci stavo io, in attesa di entrare nello studio medico. Ma prima che il veterinario arrivasse Bimbo smise di respirare lì, nel trasportino sul marciapiede. Morì non vedendo sua “mamma” come ultimo essere vivente accanto a lui ma me – l’intruso. A distanza di venti anni esatti questa cosa ancora mi dispiace. Chissà cosa avrà pensato, in quegli ultimi secondi.

E qui si va nella metafisica, che a me piace tanto: se, come insegnano le religioni abramitiche, il gatto non ha una parte spirituale che sopravviva alla morte fisica allora amen, non c’è da turbarsi, tutto è finito là, i miei rimorsi sono solo tempo perso; ma se ci fosse una forma di sopravvivenza post mortem anche per gli esseri viventi non umani (cosa che a me piacerebbe moltissimo, lo dico spesso) allora spero ci abbia perdonato, Dona e me, per come gli abbiamo fatto vivere il suo ultimo momento.

Non so. Però quando abbiamo dovuto eutanasizzare Codamozza, con un tumore grosso come una boccia da petanque nella pancia, abbiamo chiesto alla veterinaria che venisse da noi, per permettere al grande Codino di chiudere gli occhi non sopra il tavolo di uno studio medico ma nel giardino che per nove anni era stato il centro del suo (assai vasto, peraltro) territorio di caccia e di vita.

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