Otto anni fa inviai a Voi Lettori un messaggio in cui parlavo di due libri che avevano come argomento l’intelligenza degli animali: https://www.giannidallaglio.it/orsi-e-babbuini/ 

Torno ora sul tema con “Altre menti”. L’autore è Peter Godfrey-Smith, professore di storia e filosofia della scienza all’Università di Sidney. L’editore italiano è Adelphi (sempre una garanzia di qualità, spero lo rimanga anche ora che Roberto Calasso ha lasciato il mondo sublunare).

‘Sto libro parla dell’intelligenza dei polpi. Quelli con otto braccia, quelli buoni bolliti con le patate, quelli che cambiano colore della pelle a seconda degli scazzi del momento…  

Phylum “Molluschi”, classe “Cefalopodi”, ordine “Octopoda” vale a dire, “Ottopiedi”; ce n’è più di un centinaio di specie diffuse in tutti i mari e gli oceani del mondo. In generale non sono a rischio di estinzione.

Sapevo già che sono tra gli animali più intelligenti al di fuori dei Vertebrati, in grado di reggere il confronto con mammiferi e uccelli “cervelloni”, cani, gatti, scimpanzé, elefanti, delfini, corvi, pappagalli… E un giorno, in uno dei miei periodici vagabondaggi da Feltrinelli a Genova in cerca di eventuali novità, questo titolo mi  ha attirato. Però l’ho acquistato alla Libreria Garibaldi di Sanremo, w le librerie “di quartiere”!

Il senso generale del libro è che durante l’evoluzione della vita animale sulla Terra ci sono stati almeno due tentativi di sviluppare un’intelligenza complessa: uno è quello che ha portato ai Vertebrati intelligenti di cui dicevo, qualche uccello e qualche mammifero, di cui magari Homo sapiens è il risultato al top. L’altro, lungo vie biologiche molto diverse, ha portato ai Cefalopodi, polpi, seppie e calamari ma soprattutto polpi. Che sono “un’isola di complessità mentale, un esperimento indipendente nell’evoluzione di grandi cervelli e comportamenti complessi”.

Vie biologicamente diverse nel senso, ad esempio, che quella dei polpi è una “intelligenza diffusa” (come gli Alberghi Diffusi di moda nei paesetti di montagna) non limitata all’encefalo ma che si dirama nei tentacoli, che hanno quasi il doppio dei neuroni presenti nel cervello e alcune esperienze fanno pensare che abbiano anche una certa autonomia decisionale rispetto al cervello “principale” e persino che i tentacoli staccati dal corpo mantengano una certa “coscienza di sé”.

Insomma il tutto sembra una cosa – lo dico io ma non so se lo pensi anche l’Autore – biologicamente forse più simile all’intelligenza-priva-di-cervello delle piante che a quella di mammiferi e uccelli che la concentrano in quell’organo grigiastro e molliccio che si nasconde dentro la scatola cranica.

‘Ste bestie sottomarine fanno le cose che fanno i gatti: giocano per il puro piacere di giocare, distinguono le persone l’una dall’altra, evadono dai luoghi in cui sono rinchiusi, ma anzi fanno più dei gatti: imparano a spegnere le lampadine, escono da una vasca per andare in un’altra, svitano i tappi delle bottiglie per prendere ciò che c’è all’interno (i miei gatti non hanno mai imparato ad aprirsi le scatolette di cibo da soli), usano strumenti, cambiano colore per diventare invisibili, sono pronti ad accettare le novità e ad adattare ad esse il loro comportamento. Chissà se seguono il campionato e discutono del green pass…

L’autore è un filosofo della scienza, non un biologo puro, quindi il suo approccio alla questione è ancor più interessante perché mette insieme l’osservazione naturalistica con la speculazione filosofica sul pensiero e come esso si forma, su cosa siano la coscienza e la consapevolezza di sé e su quali fondamenti biologici si appoggino. Non è l’unico a meditare su queste faccende, il punto di incontro tra la coscienza “spirituale” e il cervello biologico entro cui essa si manifesta è uno dei grandi temi di ricerca della scienza, altrettanto intrigante della ricerca di una teoria quantistica della gravità (argomento su cui forse i polpi avrebbero poco da dire). 

Dice bene l’amica Anna Serra di Sanremo, che i pesci stupidi non si meritano di essere mangiati solo perché sono stupidi, ma a me pagina dopo pagina diminuisce la voglia di mangiare polpo, lo ammetto. Mi pare ormai quasi una forma di cannibalismo. Il polpo, mio fratello.

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