Il primo LP dei Genesis, del 1969; non c’era ancora Phil Collins. “Dalla Genesi all’Apocalisse”.

Il mensile Le Scienze è un ottimo periodico di divulgazione scientifica fatta seriamente e nel numero di giugno 2019 ci sono due articoli che mi stimolano la riflessione metafisico-religiosa; mi piace sempre stabilire connessioni tra l’approccio fisico e l’approccio metafisico all’universo.

Pagina 16, rubrica “Homo sapiens”, titolo dell’articolo “La nostra rivoluzione”.
In termini biblici lo stesso articolo potrebbe intitolarsi “Facciamo l’uomo…”. In breve, l’articolo dice che la comparsa di Homo sapiens potrebbe dipendere fortemente da un passaggio evolutivo anomalo, un processo ontogenetico particolare, “un drastico mutamento di alcuni fattori del regolamento genetico e ormonale” della formazione del cervello e delle sue capacità cognitive, avvenuto soltanto per una piccola popolazione di ominidi africani intorno ai 200.000 anni fa. Una “rivoluzione ontogenetica” che ha reso Homo sapiens molto diverso da qualunque altra specie animale, comprese le numerose specie di ominidi che lo avevano preceduto o con cui ha convissuto per alcuni periodi (ad esempio Neanderthal).

L’autore del testo storico-mitologico-religioso passato alla storia della letteratura come “Bereshit = Genesi” usò parole e metafore adatte alla sua cultura, alla sua civiltà e parlò di “polvere del suolo” e di “soffio di vita” con cui Dio formò l’uomo; oggi usando una terminologia adatta alla nostra cultura e alla nostra civiltà possiamo parlare di “rivoluzione ontogenetica” ma mi pare sia sempre la stessa cosa: un mutamento drastico di un qualcosa che ha reso “Adam – Homo sapiens” ciò che prima non era tale. Poi ognuno decida in cuor suo se dietro a questo mutamento ontogenetico ci possa essere la volontà di Dio o si sia trattato di un semplice accidente del caso. A me non dispiace pensare che dietro la rivoluzione genetica e ormonale che ci ha reso compiutamente umani ci sia lo zampino di Dio e che il corredo genetico di qualche essere già vivente sia stato quella “polvere del suolo” su cui – secondo Gen 2,7 – YHWH Elohim soffiò il suo “soffio di vita” per formare (N.B.: formare, non “creare”) Adam, l’Umanità.

Subito dopo la Genesi, a pagina 17 c’è l’Apocalisse: rubrica “La finestra di Keplero”, titolo dell’articolo “Il destino delle specie tecnologiche”. Qui si parte dal concetto di Antropocene, introdotto una ventina di anni fa per indicare l’epoca geologica in cui stiamo vivendo in cui l’attività umana influisce sullo stato globale della Terra con un impatto probabilmente superiore a quello dei fenomeni geologici naturali. Partendo da ciò qualcuno si chiede: quali sono le richieste che l’evoluzione biologica finisce per porre al proprio ambiente planetario, in termini di risorse energetiche? Ci possono essere traiettorie sostenibili oppure tutte le specie che raggiungono un certo sviluppo tecnologico finiscono fatalmente per provocare una catastrofe planetaria, segnando la propria estinzione? Certo, non conosciamo nessuna specie tecnologicamente evoluta su nessun pianeta dell’universo tranne quella che vive sulla Terra e che siamo noi, quindi risposte se ne possono avere solo usando Homo sapiens e la Terra come modelli di partenza. Ma è già meglio che niente…

Chi ci ha lavorato su negli ultimi anni ha trovato quattro scenari possibili; riassumendo: in due scenari la “specie tecnologica” si estingue a causa dell’aumento della temperatura globale del pianeta da essa stessa provocato; in uno sopravvive al riscaldamento ma ridotta ai minimi termini, decimata. Il quarto è più allegro perché prevede che sia la popolazione sia la temperatura smettano di crescere “grazie all’adozione di misure tempestive” e si riesca ad andare avanti decentemente. Tre possibilità di finire male o molto male su quattro, che allegria; il vecchio Giovanni là nella sua grotta di Patmos, chissà quale degli scenari “brutti” vedeva, quando scriveva la sua Apocalisse…

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