1) Movimento per l’emancipazione della Poesia

Foglietti bianchi appiccicati sui muri dei palazzi, che portano scritti brevi testi poetici spesso slavati dagli eventi atmosferici. Ne ho già trovati parecchi in giro per le città italiane in cui mi succede di vagabondare; forse la prima volta non ci ho fatto caso, poi quando li trovi in località diverse e distanti ti viene il dubbio che ci sia sotto qualcosa. Il qualcosa si trova facile in rete, a parte la solita pagina Facebook ci sono altri siti che ne parlano.
Non sto a valutare il valore artistico dei testi in cui mi sono imbattuto. Alcuni li ho letti con piacere pensando “però!”, altri mi sono passati davanti senza lasciar traccia. Però mi piace l’idea di fondo, che riporto da due siti:

a) https://www.900letterario.it/poesia/movimento-emancipazione-poesia/

Sarà capitato a tutti di sentire in giro frasi come: “Ma tanto la poesia è morta”. La rabbia che ne può derivare non è la rabbia da opposizione alla mortificazione della letteratura in un tempo in cui non si ha tempo per far nulla, tranne che produrre e produrre o, in alternativa, perder tempo. No. È una rabbia diversa, che emerge di fronte a quelle analisi facilone, superficiali. Alla persona attenta non sfuggono i segni lasciati in giro dai partigiani del bello: chi ancora crede, chi ancora si impegna, chi ancora studia, impara, si migliora, e crea (non “produce”) con consapevolezza. Quasi sempre senza clamore. A volte pubblicamente e con successo.

b) https://www.maremmatouring.it/web/2017/05/12/incontro-con-il-mep-movimento-emancipazione-poesia/

Poesie su fogli a sfondo bianco affissi in giro per la città; in un angolo a destra, l’inconfondibile timbro rosso: MeP. Nato a Firenze nel 2010, dall’iniziativa di uno sparuto gruppo di ragazzi e ragazze, il MeP – Movimento per l’emancipazione della Poesia – ha un fine ben preciso: “riportare la poesia alle persone, per le strade, nelle piazze”; così recita lo statuto del movimento. Da quel lontano 2010, il movimento è cresciuto fino a raccogliere oltre trecento adesioni in tutta Europa. Roma, Milano, Siviglia, Berlino, Parigi tra i nuclei più attivi…. Non possiamo rivelarvi la loro identità. I militanti del MeP non hanno nome, volto: a identificarli, solo una sigla alfanumerica. L’anonimato è una scelta politica: non sono ammessi protagonismi, la poesia è al centro. L’anonimato è anche una scelta funzionale: l’attacchinaggio pubblico è illegale… Il muro è solo un mezzo, ma un mezzo con una portata simbolica potente. “Attaccare poesie per strada può essere visto come un atto arrogante: si, lo è – ammette uno dei militanti – io mi impongo in uno spazio collettivo, ma è la maniera migliore per comunicare quello che facciamo”. D’altronde, tutto è partito dalla strada e per la strada. Sicuramente non è un atto vandalico: “Abbiamo estremo rispetto per ogni forma d’arte – ci tengono a specificare i nostri ospiti – non faremmo mai attacchinaggio sul muro di una chiesa, su un monumento, anzi tendiamo a scegliere i muri più logori, è un modo per renderli più belli”.

A inizio giugno a Genova ogni anno si tiene il Festival Internazionale di Poesia. Una cosa molto più “organizzata” e per nulla anonima, partecipano poeti e artisti di tutto il mondo; una cosa che va avanti da 24 anni e ciò indica, mi pare, che in effetti un certo interesse per la poesia nelle teste delle persone c’è. Mi pare di capire che il MeP vada a in giro per il mondo ad attirare l’attenzione di quelle teste che dentro di loro hanno la poesia ma non se ne sono ancora rese conto. E ciò mi pare bello.

2) Le fotografie di Lia Stein

Lia Stein, fotografa milanese. Fa mostre a Milano e a Parigi. Ringrazio Alex B. di avermela fatta conoscere alcuni anni fa, mi piace di tanto in tanto andare a vedere le sue foto esposte nel suo studio, in qualche galleria d’arte, l’ultima volta in una biblioteca civica. Sono fotografie nel senso moderno del termine, cioè sono opere d’arte visiva e figurativa in cui la “post-produzione” è tanto importante quanto l’occhio che osserva la scena e la macchina che scatta per fissarla in pixel. Post-produzione significa la mente dell’artista che attraverso un computer elabora l’immagine fissata sulla scheda della fotocamera e la trasforma in qualcosa di collegato ma diverso. In cui la visione “oggettiva” del mondo – della parte di mondo fotografato nella fattispecie – si arricchisce di un valore aggiunto che gli arriva dalla mente, dallo spirito, dall’intelligenza di colei che lo ha fotografato.

Niente di diverso, mi pare, di ciò che – a parte gli iperrealisti e i due Canaletto – fanno da sempre i pittori: osservano il mondo e lo rappresentano più o meno alterato attraverso la mediazione della loro sensibilità fisica e mentale. La fotografia contemporanea offre millanta possibilità per il fotografo che voglia essere artefice – e non mero osservatore – del mondo in cui vive e opera.

Nella mostra più recente ci sono linee, luce diffusa, materia; c’è la pietra di Matera e delle sue case, ci sono gli spigoli delle cave di marmo di Carrara che danno un’illusione di tridimensionalità alla fotografia, ci sono le architetture moderne di Milano dai colori violenti, ci sono ambienti monocromatici che possono essere ovunque e da nessuna parte. Più facilmente nei sogni.

Una sezione si chiama “geometrie cromatiche”, e quel po’ di animo scientifico che con piacere e affetto mi porto dentro anche se non ho più occasione di usarlo mi ha portato a vagabondare col pensiero, osservando le foto, verso gli intriganti territori delle geometrie non euclidee. Non so quanto Lia conosca esplicitamente queste parti della matematica, regina delle Arti dell’Universo, e ignoro se mentre sceglieva i soggetti e elaborava le immagini pensava alle sfere di Riemann, alle iperboli di Lobacevskij, alla cuffia di Beltrami. Ma credo che la matematica sia come la poesia, ce l’abbiamo dentro l’anima anche quando non ce ne rendiamo conto.

3) pensierino finale

“La diversità rende ogni essere umano un’opera d’arte”. J-Ax

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