Non conosco benissimissimo Torino, anche se ci sono affezionato, perché ci sono nato vicino ma anche perché la famiglia di mia mamma è mezza torinese, mio nonno ha sempre parlato dialetto torinese ed era juventino, mia nonna l’ha amata come sé stessa e persino mio padre, genovese di entroterra, ha vissuto i suoi vent’anni là e la ama abbastanza. Quindi per me sta città non è un’estranea. Però è un po’ come una vecchia zia che sei abituato a vedere da quando sei piccolo e tutti gli anni vai a farle gli auguri a Natale e Pasqua, e non sempre ne hai voglia di andarla a trovare ma se non ci vai poi senti che la festa non è completa (non ce l’ho, una zia così).
Ma ogni tanto la vecchia zia si sente offesa da quello che pensa questo suo nipote distratto, troppo ligure nell’anima per meritarsi quel TO sulla carta d’identità, e decide di stupirlo. Di dimostrargli che anche le vecchie zie hanno un’anima grande e nobile. Ad esempio oggi. Viaggio in Y10 per andare in Alenia. Nebbia da Ovada a Moncalieri. Alle 10,30 affianco il castello del Valentino con un mezzo sole e, curiosamente, il vento, e vedo le Alpi con la neve sullo sfondo. Dieci minuti dopo sono in Corso Francia e VEDO IL CIELO.
Non c’è niente da fare, lo sapevo e lo saprò sempre che un bel cielo mediterraneo non vale un bel cielo di pianura. Non solo il cielo di Lombardia così bello quando è bello, anche quello di Piemonte. Come quello di Francia, anche. La Liguria è benedetta da Dio perché c’è il mare e le colline e il clima subtropicale e le ginestre e le mimose ma il cielo e le nuvole, per quello bisogna andare a nord. Ricordo dei cieli francesi che urlavano la loro bellezza, ma quello banalmente cittadino di Torino oggi valeva tanto quanto, pur spezzettato fra i palazzi e i fili del tram. Soprattutto le nuvole, spinte da un vento da circa nord, gagliardo e tiepido, era un phön (favonio,in lingua italica), direi. Questa era il motivo della bellezza del cielo, il vento. Comunque le nuvole sbriciolate, bianchissime stile detersivo in tv, veloci, ecco, quel pezzo di Gianni che si esalta guardando Thelma & Louise o leggendo l’inizio del Canto del pastore errante, pensando a che bello potrebbe essere errare per l’Asia facendo il pastore e cantando alla Luna (a parte le sfighe che ne vengono fuori nella fattispecie, ma sono meno pessimista di Leopardi, io), il Gianni che ricorda le notti di tanti anni fa dormite all’addiaccio in Sardegna o in Sicilia col mare che sciaguetta sommesso o un tramonto di novembre di otto anni fa quando in coda in Corso Perrone alzando gli occhi al cielo per caso vidi uno stormo di uccelli migratori che andavano a sud, lenti e flappeggianti sulla Val Polcevera inquinata, via verso l’estate e la libertà (pausa per riprendere fiato), ecco, quell’io lì oggi si è fatto dodici semafori rossi in Corso Francia col naso per aria ammirando sta specie di popolo nomade bianco che migrava lentamente nel cielo, e mi chiedo se fossi nato Kirghiso, Udmurto, Turkmeno o che cosa, insomma, di quella gente che ogni tanto smonta tenda e recinto del bestiame e se ne va altrove, lo so che la felicità è più invisibile di una città e non basta cambiare orizzonte per ottenerla ma insomma, magari mi ci avvicinerei. Alla felicità. Comunque oggi ringrazio Torino.
Tornando a Genova ho infilato Corso Europa per passare in istituto. Tanto per restare in tema la radio suonava Il cielo d’Irlanda, stupenda canzone di Fiorella Mannoia che vale più di qualunque fotografia per fare pubblicità all’Irlanda. E’ una visione mistica percepita attraverso le orecchie. E ci sono pure gli zingari e i re che viaggiano. E la musica allegra e ballereccia. Non lo schifo che si balla adesso (Ah, ai miei tempi!…). E a Brignole, nella coda, una Luna piena ENORME mi sorge dietro al Fasce, cicciona e sorridente. Genova, gelosa del mio rapido flirt con Torino, ha voluto farsi perdonare le nuvole di stamattina e mi ha ricordato che, comunque, è sempre la più bella.

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