Ai non genovesi dirò che a Genova e in Liguria le creuze (o creuse, e il dittongo eu suona come la o con l’umlaut in tedesco) sono le antiche mulattiere che portavano uomini e merci su dal porto e dalla città vecchia verso i crinali appenninici, diventando poi “vie del sale”, ovvero piste e strade commerciali verso la pianura padana e, da lì, verso l’Europa. L’inizio delle autostrade preromane-romani-medioevali e oltre fino quasi all’Ottocento. Tra Otto e Novecento la città si è espansa sulle colline ed ora le creuse sono silenziosi viottoli nascosti fra strade carrozzabili e palazzi, e mantengono ancora incredibili e affascinanti caratteri di “campagna in città”, una caratteristica urbanistica genovese difficile da concepire per chi non conosce questa città. Le creuse de mà, quelle di De Andrè, sono quelle di Albaro, quasi pianeggianti, che ondulano sui bassi colli vicino al mare. Quelle intorno a casa mia, sulle pendici del Righi, quelle che iniziano dove finisce il centro storico e si arrampicano su ripide per 300 metri di dislivello, è meglio definirle di monte, appunto.
Comunque, chi volesse approfondire, si legga “Le creuze di Genova”, di Gian Antonio Dall’Aglio, su L’Universo n°1, 1997, I.G.M., Firenze, oppure consulti l’agile volumetto “Genova Guida” del medesimo Gian Antonio Dall’Aglio, ed.Sagep, Ge, 1999 o ancora l’elegante volume “Genova” (Dio che fantasia coi titoli!), del solito Gian Antonio Dall’Aglio, ed. Sagep, Ge, 2000. E se dopo tutte ‘ste menate genovesi ancora non vi siete stufati di Gian Antonio Dall’Aglio, ecco qua:

si era mercoledì 14 marzo 2001, di sera, ore 22,30 circa, al termine del tradizionale “birrino con Uge”. Ai profani urge spiegare cosa siano i birriniconUge. Dicesi Uge tal Eugenio F., amico di antica data e antico scoutismo e antiche vacanze e meno antiche gite in montagna, uno come tanti, insomma, né giovane né vecchio, né bello né brutto, brizzolato alquanto nonostante abbia solo 40 anni e 11 mesi, …..
Il termine “birrino” nasce da una definizione di Cesare Pavese, riportata dal sullodato Uge, e consiste nel ritrovarsi io e Uge, talvolta con altri amici ma più’ spesso da soli, quasi una sera alla settimana, 21,30-22,30 circa, in un bar della zona, usually la Barcaccia 2 in Spianata Castelletto, raramente la Cantina Embriaci nel profondo della città vecchia, per bere “un birrino” e far due chiacchiere oziose sulla vita. Niente di strano, no? Si fa, a volte. Unica peculiarità è che di birra se ne vede poca. Uge prende sempre e dovunque una coca in lattina, io alterno molto la birra – “birrino” perché piccola – al porto o al caffè. Ma l’importante è vedersi un’oretta, dire due fesserie, fare il “tour de l’Esplanade” (ovvero il giro della Spianata, panoramica sul centro città, roba di 7 minuti in tutto) e andarsene a casa. Insomma, “birrino” come categoria dello spirito più che come bevanda poco alcoolica ricavata dalla fermentazione dei cereali. Con buona pace di Pavese che invece intendeva proprio la birra.

Beh, mercoledì decidemmo di scendere a Castelletto per il birrino a piedi entrambi, invece che in Vespa o in macchina, e di tornarsene a casa ciascuno per la sua strada a piedi. Che il moto fa bene e la sera era fresca e asciutta. Però invece che imboccare ciascuno le sue strade normali abbiamo iniziato una creusetta dove erano anni che né io ne’ lui passavamo, e abbiamo finito col salire su per creuse, scalette e viuzze per mezz’ora buona, 120 metri di dislivello fino in via D.Chiodo, più in alto delle nostre case, poi buonanotte e ciascuno giù verso casa sua; è stata una gita, quasi. Salita Accinelli, rebighi vari lungo via Piaggio accanto al rio Carbonara murmure fra i palazzi, poi un pezzo di via Chiodo, infine ciao, lui salita Emanuele Cavallo, in giù, io a scendere per salita a Porta Chiappe e via Traverso sino a casa in via Ausonia.

Una figata, proprio una bella gita nella campagna notturna, a prescindere dalle villette primo Novecento e dai condomini del Dopoguerra che incombono da ogni lato. Una camminata fra il rumore di 5, 8, 10 ruscelletti e rii che scorrono sotto le strade, sotto i giardini, il rio Carbonara per almeno 100 metri non è tombinato e si vede e si sente scrosciare (con tutta la pioggia di quest’anno, dice chi misura la pioggia che questo 2000/2001 e’ stato l’autunno-inverno più piovoso degli ultimi 115 anni a Genova!) ma ce ne sono di piccolini dappertutto, ogni ansa delle strade carrozzabili corrisponde a una valletta e a un rio, andando in macchina non ci si bada ma camminando lungo le creuse st’acqua che sgorga e che scorre la vedi e la senti; ci sono sorgenti che sputano acqua fuori dai muri dei giardini o dai muraglioni delle strade, che si infila nei tombini e va giù al mare del Porto Antico. Poi l’incontro con un riccio cicciotto e traballante, (e intorno a casa mia di sera ne vedo spesso), la luce delle stelle in cielo nei tratti dove i lampioni scarseggiano, i ciliegi fioriti che spiccano tra il buio degli olivi, i retri dei palazzi dove sbirci gli angoli nascosti di umanità dietro le finestre illuminate, gente che sparecchia, una ragazza che scrive al computer, i giochi di un bambino sparpagliati in un giardinetto. Purtroppo essendo notte non c’erano merli che cantavano, e non c’erano nemmeno usignoli, che invece se mi sveglio di notte fonda da casa a volte li sento. Non essendo ancora estate nemmeno lucciole, che riempiono l’aria di lucine pulsanti quando è il momento giusto. Però erano ben vivi gli odori dei giardini, degli orti, i cespugli di rosmarino, il semplice odore di erba umida e fresca, in qualche tratto l’aroma degli allori. Il panorama della città di sotto e le luci sottili della Riviera di Ponente fino a Savona, Capo Noli, Capo Mele, all’orizzonte.
Per il prossimo birrino abbiamo già deciso: andremo al Maniman, a San Nicola, che è un po’ più in quota della Barcaccia (100 mt. slm invece di 80), poi affronteremo Fossato San Nicolò e Salita della Madonnetta, quindi via Traverso (Uge non la conosce ancora) fino a San Barnaba e un tratto di via Chiodo in senso ponente-levante, poi ancora su per Salita a Porta Chiappe fino alla Porta Chiappe al Righi (310 mt.slm., saranno 210 mt di dislivello totale), indi giù per Salita San Simone, tutta fino in via Marco Polo, e infine le scalette per scendere a San Nicola. Così, per digerire la coca cola e la birra. Qualcuno viene con noi?

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