In questa mattina autunnale sanremese di scirocco violento e afoso, con le auto e gli alberi del giardino coperti di sabbia piovuta nella notte ma così sabbiosa, bianca e spessa come non ricordo di averne mai visto a Genova in anni di scirocco, voglio raccontare ai miei venticinque lettori di uno spettacolo teatrale cui assistei, con Donatella, ormai parecchio tempo fa, era il 16 (circa) agosto u.s., ovvero quasi 3 mesi fa. Lo spettacolo è passato ma il suo significato resta valido. Visto che, auspicabilmente, altri spettacoli simili seguiranno, sooner or later.
Il nome è semplice semplice: Marocco. Parla del Marocco, direte voi. Esatto, dirò io. Ne parla, più che recitarne, e direi che se una lezione di geografia nelle medie, o nelle scuole superiori, ammesso che si insegni ancora la geografia nelle scuole, venisse svolta come questo spettacolo credo che gli studenti comprenderebbero piuttosto bene cos’è il Marocco, oltre che una nazione dell’Africa settentrionale che confina con… capitale… popolazione… risorse economiche….
Il buon Pino Petruzzelli, con l’appoggio sentimentale e organizzativo della quasimamma Paola Piacentini e l’accompagnamento musicale di un sax discreto e amichevole, di cui non ricordo però il nome del suonatore, racconta, recita, descrive in un monologo breve ma intenso di un viaggio in Marocco compiuto da egli stesso medesimo insieme a un suo amico e collega giornalista, un viaggio alla ricerca di notizie, persone, fatti, aneddoti, scrittori, personaggi, popolo, con divagazioni, per nulla divaganti ma assai pertinenti, sulla storia dell’emigrazione italiana in America – c’erano gli scafisti anche allora, e pure disonesti- , sugli effetti dei fosfati sulla dentatura umana, sull’altalenante rispetto dei diritti umani col volgere dei diversi regnanti, insomma uno spaccato di vita marocchina strutturalmente assai semplice (almeno per lo spettatore, che per l’attore e regista magari è stato un casino prepararlo, non so) ma altrettanto efficace e interessante. Se ha senso il paragone, assistere a Marocco mi faceva pensare a quelle foto di Gianni Berengo Gardin che descrivono l’Italia e gli italiani con immagini in bianco e nero di varia e spontanea umanità in diversi ambienti sociali, rurali e urbani. Avrebbe dovuto vederlo il mio amico venditore ambulante Mohamed, sarei curioso di sentire che ne pensa, lui che il Marocco lo conosce bene.

Marocco è un capitolo di un lavoro più ampio di Pino, iniziato, se non sbaglio, con uno spettacolo più articolato e geograficamente più esteso, a cui assistei sotto il tendone del Porto Antico a Genova qualche estate fa, e che proponeva una scelta di umorismo e satira sociale e politica di alcuni paesi del Mediterraneo. Qui siamo più sullo specifico, e a mio parere anche sul meglio strutturato, insomma, st’idea di raccontare un paese, anzi di raccontare l’immagine che Pino e il suo collega giornalista hanno avuto visitando il paese mi pare egregia nell’intendimento e nel risultato.
Il capitolo successivo avrebbe dovuto essere Sudan, paese esageratamente islamico dove nelle regioni meridionali è in corso da aaaaanni una guerra civile che oppone le popolazioni locali, nere cristiane e animiste, al governo centrale arabo e islamico, con storie (solite) di violenze e schiavismo e robe così. Questioni di razza e di religione ma anche sicuramente ragioni di ricchezze economiche.
Visto gli ultimi fatti bellici, Pino & C hanno pensato che andare adesso, bianchi e biondi, a girare il sud del Sudan poteva essere periglioso, e hanno ripiegato sulla più vicina e più tranquilla Albania. Vedremo che ne uscirà.
Personalmente aspetto il prossimo parto del Berengo Gardin del palcoscenico. Che veramente il prossimo parto dovrebbe essere quello del figlio/a che sta fabbricando con Paola, se è una bimba le auguro che sia bella come la mamma, se è un bimbo fatti suoi.

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