Come spesso accade in queste chiacchiere l’un argomento non c’entra con l’altro se non per caso.
Il caso è che oggi sono andato a vedere un po’ di mostre novecentesche in giro per la città, e poi tornando a casa ho trovato le deliziose “Cronachette della neo-lingua” dell’illustre italianista, maestro e docente Giorgio Cavallini.

Sempre arte è, se pur espressa in modi e toni diversi.

Il Novecento è mostrato in vari luoghi sparsi fra l’ampio – e gelido – salone novecentesco della Stazione Marittima di Ponte dei Mille, il Palazzo Ducale, il Museo dell’Accademia Ligustica e il gioiello Liberty della sala delle Grida nel Palazzo della ex-Nuova Borsa.

1) Stazione Marittima e un pezzo del Ducale per lo scultore, disegnatore e poeta Francesco Messina.
Ho scoperto che Messina, nato siciliano nel 1900, è genovese “di adozione” (come me, più o meno) nel senso che venne a vivere a Genova in tenera età, e qui crebbe e iniziò la sua attività artistica, conoscendo alcuni bei nomi della letteratura ligure e italiana, Montale, Sbarbaro, Roccatagliata Ceccardi, Quasimodo…
Poi andò a Milano, fece dell’altro, infine morì nel 1995 a 95 anni, una specie di Michelangelo. Almeno come età. Come valore artistico non era proprio uguale ma si difende assai bene, dai.
Un mucchio di opere, soprattutto bronzi ma anche sculture su legno, gesso, terracotta, marmo, per lo più figure intere, poi busti, ritratti, animali (tra cui il bozzetto del Cavallo morente della Rai) da profano direi che si vede che è un artista del Novecento anche senza leggere le date scritte sui cartellini, lo stile è molto novecentesco, non sono stato molto in grado di distinguere le opere più giovanili (anni dal ’17 al circa ’35) da quelle degli anni ’80, nel senso che in alcune delle prime si legge bene l’impronta diciamo Liberty, anche se credo che nella scultura non sia esatto parlare di Liberty, ma in generale ho trovato un certo identico stile “giovane” anche nelle opere degli ultimi anni, magari meno dettagli “Liberty” ma non mi sembrava che dalle une alle altre fossero passati 60 anni. Se è vero, onore allo spirito sempregiovane del Maestro novantenne. Che ha mantenuto un’identica passione per i soggetti (anzi, le soggette) femminili, giovani e nude nonostante la vecchiaia.
A parte ciò, evito i commenti da critico d’arte che non saprei fare. Dico solo che sia le sculture sia i disegni sono assai belli, le figure umane scolpite e disegnate sono in generale veramente espressive, diverse nelle posture, nelle espressioni del viso e dello sguardo, nella gestualità, diverse, insomma, ma molto piacevoli da ammirare.
Bravo, ecco.

2) ancora palazzo Ducale per “1 Firma x 6”, dedicata a un gruppo di autori genovesi – Bernazzoli, Biassoni, Costantini, Veruggio, Luzzati, Piombino – che negli anni Cinquanta sperimentarono nuovi linguaggi grafici per la pubblicità, il teatro, la scultura, la scenografia. Clienti alcuni bei nomi dell’economia come le compagnie di navigazione, i cantieri navali, le società petrolifere, le industrie siderurgiche… Fondarono lo studio grafico Firma, e via così. Una mostra molto colorata, diversamente da Messina in cui inevitabilmente prevale la forma, qui è il trionfo dei colori e del disegno. Meritevoli di menzione (almeno secondo me), i manifesti per la “Società Italo-Americana pel Petrolio Esso”, con quella preposizione articolata PEL così desueta, il mitico carosello dei crackers Doria “Come mai non siamo in otto? Perché manca Lancillotto! Po popo popo poffare! Presto! andatelo a cercare!”
E fra le molte cose, anche le deliziose statuine in terracotta di Umberto Piombino, sculturine, presepi, figure piccole e sorridenti, Piombino fu un importante ceramista nella Albisola degli anni Cinquanta, e fra le sue opere cito la scena postpresepiale del 4° compleanno di Gesù Bambino e la serie di scene della vita di Colombo prima della partenza per l’America. Mi son piaciute, ecco. Le sculture che fa oggi Luisa Canevaro sono similissime nello stile a quelle di Piombino. Anche se lei è meno famosa di lui…

3) “Six wonderful days” è il titolo della mostra divisa fra Borsa e Accademia Ligustica sui transatlantici italiani che ruled the waves fra il primissimo Novecento e gli anni Sessanta, portando in “sei giorni meravigliosi” passeggeri e turisti in Nordamerica, e in maggior tempo fino in Argentina e in Australia. Anche qui un profluvio di cartelloni pubblicitari in tutti gli stili grafici del secolo neoterminato, poi oggetti di bordo dai portacenere alle stoviglie, filmati, foto, arredi. Altro bel motto, oltre a quello che fa da titolo, si legge su un manifesto: set sail for happiness. Forse andare in Australia per nave era sì più lungo ma anche più divertente che farsi le odierne 24 ore seduti dentro un aereo rattrappiti.

il 4) non c’entra col Novecento ma già che c’ero… All’Accademia Ligustica già che si va per vedere i transatlantici uno poi gira un po’ nel museo vero, no? C’è un bel giro di quadri di pittori liguri, dal Trecento a quasi oggi, niente male davvero! Qualche santo gotico, alcuni bellissimi del Seicento dei soliti Grandi Nomi nostrani, qualche paesaggio sette-ottocentesco romantico, un po’ di bel Novecento con Merello, Nomellini, Guerello, eccetera. Ero ovviamente l’unico visitatore, di mercoledì alle 15.

Infine 5) Cronachette della neo-lingua, Brigati, Genova 2002, di Giorgio Cavallini.
Dovrei copiarle pari pari tutte e 15 con le loro rime per sollazzare il lettore, ma senza offesa per l’Autore, non ne ho voglia. Se mai un’altra volta. Però lo ringrazio alquanto di avermene fatto dono, via un numero notevole di intermediari messaggeri.
Le 15 ironiche cronachette più il supplemento, dove i “cioè”, “attimino”, “problematica” “ottimale” “evidenziazione” “posizionare” “soddisfando” eccetera, concorrono a creare per il neo-parlante quel
“…bel successo
che gli assicura gloria e rinnovella,
arricchendola, l’itala favella.”
Mi permetterò invece di riportare in toto, note comprese, i “Dialoghi in autobus (ritorno allo stilnovo?)”, e mi si scuserà per il turpiloquio, anzi, il turpiscritto, ma essendo i Dialoghi più brevi delle Cronachette posso copiarli per intero:

1. “Che c.. fai?(1) e “dove c.. vai?”,
domanda la fanciulla, e di rimando
sbotta l’amica: “Ma che c.. vuoi?
Non t’immischiar, non sono c.. tuoi”.
Scendono insieme, sempre dialogando
in questo dolce stil novo e ammirando.

2. “Non rompere le palle”(2), dice seria
la ragazzetta dalle trecce gialle
che porta uno zainetto sulle spalle;
e l’amica, sgranando i begli occhioni
risentita, e scuotendo i riccioloni,
“Porca miseria!”, esclama inviperita,
e aggiunge: “Tu, non rompere i coglioni!(3)”.

note in calce:
(1) domanda da non confondere con quella rivolta dal pastore alla luna nell’incipit di uno del più famosi Canti leopardiani
(2) il complemento oggetto di “non rompere” può essere anche sottinteso (poetica del vago)
(3) vedi nota 2. La frase, comunque, si distingue dalla precedente per la sua maggiore determinatezza e determinazione (poetica del vero)

Cavallini scrive e parla di poetica – del vero e del vago – anche e soprattutto in termini più seri e più profondi di questi. Ma quattro bei sorrisi ogni tanto ci stanno proprio bene. Ancora grazie, Professore!

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