Mi è capitato talvolta di aver colto nell’occhio dell’interlocutore uno sguardo tra il compassionevole e il perplesso quando alla domanda “cosa avete fatto tu e Donatella quest’estate?” ho risposto “siamo andati in Polonia, a luglio”; e non solo per l’apparente incongruenza della consecutio temporum vacationorum (a luglio? E ad agosto niente?), quanto proprio per la Polonia. Che ci sarà mai in Polonia da giustificare l’impiego (lo spreco…) di una settimana di vacanza estiva lassù?

I luoghi ubi sunt leones non devono necessariamente essere lontani centinaia di miglia e decine di fusi orari; basta che appaiano lontani e misteriosi alla mente del viaggiatore in pectore mentre, nella penombra della sua cameretta, sfoglia atlanti e ruota mappamondi.
Per lungo tempo per me la Polonia è stata una terra così, ai confini del mondo. Perché proprio la Polonia e non, che so, la Romania o la Lapponia, non lo ricordo, non so, non ha importanza ormai. Sta di fatto che anche dopo essere andato nel 92 e nel 94 in California e nel 93 in Kamciatka (e Dio sa se è lontana, quella!!), la Polonia, per me, rimase un paese ignoto e un po’ inquietante. Conoscevo ancora troppo poco Mariusz Krasinski, che peraltro ormai aveva iniziato il suo pluriennale va-e-vieni tra la sua università di Lodz e la nostra università di Genova.

Il mio primo contatto con la terra degli Jagelloni l’ebbi intorno al 3 gennaio 1995 durante uno dei classici giri in auto di capodanno, da Vienna a Praga via Bratislava – Cracovia – Auschwitz – Olomuc. Un giorno e una notte in una Krakòw nevosa e fredda, un giorno in visita guidata ad Auschwitz, poi verso la mitica Praga, a cogliere le differenze (cromatiche soprattutto) dalla Praga del capodanno 1990.

Comunque bella Cracovia, coinvolgente Auschwitz, ma era Europa Centrale in generale più che Rzeczpospolita Polska in particolare. Troppo toccata e fuga per rendermi conto veramente di dov’ero.

La Polonia entrò a far parte del mio mondo, scacciando i leones ch’eran ivi, pochi mesi dopo, nell’aprile 95, quando Mariusz, ovvero il dottor Krasinski dell’Instytut Fiziki del Politecnico di Lodz, invitò me e il Prof. Bedarida (il prof. Bedarida e me…) a tenere dei seminari sull’interferometria olografica e il MHOI alla sua università, in contraccambio del lavoro che lui veniva periodicamente a fare da noi al Dip. di Fisica e al Dip. di Scienze della Terra.

Baciai (metaforicamente, non sono il papa) il suolo polacco all’aeroporto di Varsavia e visitai, ammirandola, la ricostruita Stare Miasto (città vecchia, of course) della capitale, rimanendo colpito dalla storia tragica di questa città durante la guerra mondiale: occupata dai tedeschi, grandiosamente insorta contro i tedeschi (prima gli ebrei del ghetto poi tutti), distrutta dai tedeschi casa su casa mentre i russi stavano a guardare dall’altra riva della Vistola, infine “liberata” dai russi quando i tedeschi ebbero finito il lavoro sporco e non era rimasto più niente da liberare. Poi, a guerra finita, ricostruita com’era, in un lavoro di decenni, addirittura usando i quadri dei vedutisti del Sette-Ottocento (Canaletto il giovane soprattutto) per rifare i palazzi con gli stessi colori e le stesse decorazioni originali.
Indi andammo a Lodz, a discettare di scienza.

Secondo contatto con la terra del papa nell’autunno del 98, congresso a Zakopane nei monti Tatra, poi una settimana a Lodz (sempre Mariusz…), w/e a Danzica, due giorni a Varsavia. Imparai a dire dzenkuie, do vidzenia, voda, pivo e poche altre parole. E mi riconvinsi che Varsavia è proprio una bella città e che il polacco è proprio una lingua infame. Ma avendo altre occasioni in futuro di riparlarlo, chissà….

Così quando Donatella espresse il suo desiderio di andare in luglio a vedere Cracovia eccetera, la trovai un’ottima idea. Tanto il mare ce l’abbiamo sotto casa, una settimana di belle città colorate e di foreste verdissime è quello che ci vuole. Andiamo!

Volo low-cost Volareweb Malpensa-Varsavia, due biglietti a/r totale 174 euro, auto Hertz e hotel prenotati via internet anche grazie agli utilissimi consigli dei Viaggiatori Lulli & Bobi da Biella, un invito a cena a casa di Mariusz ed è fatta: una notte a Warszawa, 3 notti a Krakòw, una notte a Lodz, due notti a Bialowieza, nella foresta dei bisonti al confine con la Bielorussia. Tempo bruttino tranne gli ultimi due giorni nella foresta, ma va bene così.

La piazza della Stare Miasto di Varsavia sembra davvero la sorella minore della Staromestske Namesti di Praga: Donatella ne è rimasta entusiasta e ne son lieto. Poi abbiamo scoperto i parchi Lazienkowski e Wilanow, rutilanti di grandi alberi, pavoni che gridano “meò” con la voce chioccia come Pluto e scoiattoli sfacciati. E ho avuto modo di scorgere transitandoci in auto i quartieri simpaticamente popolari al di là della Vistola, la zona delle ambasciate ovviamente elegante, insomma una vera bella capitale europea, al di là della deliziosa città vecchia e dell’immenso Palac Kultury i Nauki staliniano che conoscevo già, a Dona non sembrava interessare e quindi l’abbiamo snobbato del tutto.

Cracovia gode di chiara fama, la “Firenze dell’est”: in realtà con Firenze c’entra un belino, Krakòw è lei, Firenze è altro. Bellissima ma altrettanto turistica, ecco, in questo si che è come Firenze. Anche il Rynek Glowny, il mercato coperto al centro della piazza piazzosa, è troppo turistico. Nulla a che vedere con – se me lo ricordo bene – il grande bazar di Istanbul che il Rynek un poco scimmiotta. Insomma, sarà anche vero che “sola Cracovia est Polonia” ma io in fondo preferisco Varsavia. Almeno dal punto di vista spirituale; come peraltro preferisco di gran lunga Roma a Firenze, ecco.
Degni di particolare menzione nella nostra Krakòw sono stati il colorato e decorato ristorante russo Samovar, il caffè Larousse in quell’angolo di viuzza dall’aspetto tanto V arrondissement, un rapido e popolare ristorante (ma dov’era esattamente?) gestito da tre ragazzine carine con l’onnipresente kotlet schabowy (vulgo cotoletta di maiale alla milanese) e la solita buona birra; c’era anche un ristorante georgiano ma ora mi sfuggono i dettagli; valida la visita al museo Czartoryskich con la leonardesca dama con l’ermellino, il (troppo breve?) giro del Wavel con castello e cattedrale, e Kazimierz, quartiere ebraico in rinascita architettonica e turistica che merita senz’altro di passarci un’oretta. Spielberg ci ha girato Schindler’s list. Poi una sera di concerto classico in una Santa Romana Chiesa molto barocca e tantissime rondini garrenti e volanti fra i tetti e le torri della piazza del mercato sotto un cielo quasi autunnale.

Con breve viaggio in trenino o in bus da Cracovia si raggiunge la Kopalnia soli (miniera di sale) di Wieliczka, inimmaginabile meraviglia del mondo ipogeo, scavata per centinaia di metri di profondità e 150 chilometri di cunicoli e saloni, tutto nel salgemma. Praticamente c’è una città, lì sotto, in quel mondo grigio e salato: un ufficio postale, un ospedale, un ristorante, cappelle, una chiesa con statue (anche del Papa, peraltro effigiato ovunque, come ovunque c’è una ulica Jana Pawla II), mostre d’arte, un museo, la banda che suona – a 125 metri sottoterra – per accogliere i visitatori… roba che al confronto le città sotterranee della Cappadocia sembrano piccoli ripostigli angusti.
Abbiamo tralasciato Nowa Huta, poteva essere interessante, la città socialista della Nuova Fonderia. Next time.

Breve sosta a Czestochowa, giusto per vedere com’è. Piena di gente che si sgomita, come ogni santuario con la Madonna maiuscola. Ciò è bene o male? Essendo il cattolicesimo una religione “cattolica” quindi “universale”, ritengo che la folla sia bene. Anche se i santuari a me danno un po’ troppo la sensazione di Fiera di Sant’Agata più che di preghiera; l’aspetto religioso dell’affollamento di oranti l’avevo percepito bene nelle vie e presso il Muro di Gerusalemme ma forse lì è questione di genius loci; altrove mi è sempre stato difficile. Ma è un problema mio, e neanche tanto grave, mi pare.

Lodz migliora a ogni visita: quell’aria da città industriale socialista sfigatissima che aveva dappertutto nel 95 e quasi ovunque nel 98 ora sta allontanandosi persino dai quartieri popolari della periferia, dove i condominiotti di cemento scrostato senza ascensore very sovietic vengono dipinti a vivaci policromie; non saranno mai come le case “saracene” di Varigotti o la palazzata della Ripa qui a Zena ma va bene così. Il centro è animato come si conviene a una città di una grande nazione dell’Unione Europea, i palazzi e le villette Liberty (anzi Sezession) dei magnati dell’industria tessile che fecero grande Lodz a inizio XX secolo sono tutti ripuliti ridipinti splendenti, i grattacieli di vetro sono uguali a quelli di Londra e Milano, la Piotrkowska è la più lunga strada pedonale della Polonia, affollata di ristorantini, bar e arredi urbani bislacchi (statua di Rubinstein che suona il piano, nomi dei grandi registi polacchi stampati sul marciapiede…), i ragazzi vengono da Varsavia a passare le serate qua, insomma, prima o poi anche il Touring e la Guide Routard dovranno decidersi a dare il giusto valore a questa città dal nome bizzarro (Lodz significa “barca” e si pronuncia Uug – g dolce, come gelato). Ospitali sia il modernissimo hotel Ibis sia i coniugi Krasinski nonostante la pioggia pomeridiana, buona la loro zupa grzybowa coi funghi, curiosa la faccenda di iniziare la cena con la zuppa senza bicchieri né tovaglioli in tavola; l’acqua è arrivata dopo (tanto la zuppa è liquida), ma se ti sbrodoli la zuppa che fai, ti asciughi con la manica? Poi le chiacchiere da buoni amici, il caffè turco di Krystyna, la vodka e un liquore marroncino non ricordo a base di cosa… ma ne ho bevuto parecchio, mi pare. Mi piace avere dei conoscenti non troppo superficiali che vivono lontano e andarli a trovare ogni tanto, li abbiamo invitati a Sanremo, chissà quando…

Le strade (super o secondarie) della campagna polacca non sono poi così tremende come ce l’avevano dipinte: sconnesse si, un continuo saliscendi fra cunette e dossi, ma impari presto le regole di marcia sulla corsia d’emergenza e di sorpasso a metà carreggiata, ingorghi solo uno, insomma temevo peggio. Poi si viaggia fra boschi fitti e campi larghi, ci sono quei cieli di pianura azzurri e bianchi di nuvole che scendono sino a terra per 360 gradi di orizzonte che per me sono il simbolo più tipico del viaggiare, si incontrano cavalli affettuosi e mucche domestiche che razzolano nei giardini delle case come galline, si ascolta la musica classica trasmessa da Radio Varsavia Classic. E si guida attraverso centinaia di venditori di lamponi, mirtilli e funghi, sdraiati sul ciglio della strada a vendere ai passanti.
Un trionfo di frutti di bosco e porcini che sarebbe stato da fermarsi ogni chilometro e farne indigestione, tra l’altro costavano pochissimo rispetto al mercato di Sanremo… qualcosa abbiamo preso ma come avremmo potuto portarci a casa in aereo che so, un chilo di lamponi e uno di porcini? Quindi niente, mannaggia, solo un po’ di lamponi e ciliege da mangiucchiare la sera in albergo…

Last but not least Bialowieza e la sua Puszcza Bialowieska, trionfo della natura di pianura in due giorni finalmente di sole totale, vera splendida estate campagnuola. Il parco dei zubry, dei bisonti, una delle pochissime zone dove ancora vivono i bisonti europei… boja se ne abbiamo visto uno! Beh, uno si, in un grosso recinto tipo zoo-safari che pascolava alla mangiatoia, e alcuni altri nello stesso recintone ma lontani e quasi invisibili; insieme a tre lupi, qualche cinghiale, capriolo e cervi…. Però abbiamo rapidamente appreso che quelli veri, selvaggi (e mica solo bisonti, anche linci e compagnia bella) vivono davvero nella sterminata foresta che sconfina molto in Bielorussia, ma si fanno i casi loro ben lontani dalle piccole aree in cui possono aggirarsi i turisti al seguito delle guide. Saggiamente.
Dedicato agli zubry c’è la buona “birra del bisonte” e la vodka col succo di mele, e ciò basti. Peraltro assai dotta e simpatica è stata la donnona che ci ha fatto da guida nelle tre ore di camminata nel parco, a parlare di alberi e picchi e funghi e altro ancora, traducendo poliglottamente i nomi degli alberi dall’inglese all’italiano all’olandese al latino (al polacco).

Qui abbondano le cicogne, che in Liguria non esistono, e son quelle cose che mi fan gioire come un bambino, il vedere dal vivo tutti i nidoni grossi sui camini e ‘sti uccelloni bianconeri che sbattacchiano i becchi e pascolano nei prati come conoscevo quasi solo dalle illustrazioni delle favole, mai fotografata una cicogna in vita mia; e mi veniva in mente Pippi Calzelunghe anche se non ricordo se la trecciuta e lentigginosa spilungona avesse anche delle cicogne oltre al cavallo bizzarro, chissà che strano ricordo infantile è. Comunque abbiamo fatto ben più foto alle cicogne che ai bisonti invisibili. Poi la conversazione folle col contadino uscito da casa sua per salutarci mentre noi si fotografava le sue cicogne, in 3 minuti di polacco veloce ci ha detto…. Checcavolo c’ha detto? Sicuramente che le cicogne vivono anche nei paesi del nord, noi gli abbiamo detto che eravamo italiani (Wlochy, si chiama l’Italia in polacco, chissamai perché), poi boh, forse ha citato dottamente la teoria ottimista di Leibniz sul migliore dei mondi possibili, forse ha elencato i calciatori della nazionale polacca ai mondiali del ’56, tanto non abbiamo capito più nulla. Alla fine ha elegantemente baciato la mano a Donatella, forse era un principe lituano decaduto e noblesse – per quanto agricola e cicognesca- oblige.

Bialowieza ha una deliziosa serie di case contadine in legno colorate gradevolissime da fotografare passeggiando nell’aria fresca delle 7 del mattino, ci sono carretti a trazione animale, chiese ortodosse con scritte in cirillico (Polonia cattolica, ma qui è quasi Russia, per quanto Bielo, e sono ortodossi) e c’è l’hotel Best Western dal prezzo onestissimo con un buffet-colazione degno di un banchetto nuziale dell’emiro del Brunei. Mancavano i funghi color azzurro-alieno che assaggiai (schifato) in un breakfast a Oxford nel lontano 1989, ma per il resto qui c’era per colazione tutto ciò che un europeo possa desiderar mangiare durante un pasto luculliano. Il paradiso, i golosi se lo immaginano certamente così.

Ma sarà tutta ambra quella venduta come tale nei negozi turistici di Cracovia, o metà è plastica? E quando l’ambra del Baltico sarà finita, con cosa faranno le collane? In Cina ne hanno, ambra?

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