Secondo anno consecutivo di vacanza di giugno in Irlanda per la premiata ditta Donatella&Gianni+Anna (“archiatra” di Dona).
Perché l’anno scorso era stato tutto molto piacevole – esattamente come ci avevano detto gli amici che conoscevano già l’isola verde – e perché avevamo lasciato indietro qualcosa nostro malgrado. Soprattutto le puffins…

Il nome scientifico è Fratercula arctica, in italiano pulcinella di mare: sono uccellotti buffi, sembrano piccoli pinguini col beccone rosso, sono personaggi improbabili a metà fra il giocattolo e il cartone animato, vien voglia di prenderseli in braccio e giocarci insieme, e su quello scoglio da gabbiani e da monaci che è Skellig Michael sono bellissimi ‘sti uccellotti che stan lì senza scappare quando ti avvicini: fanno i nidi dentro tane da conigli da cui si affacciano con quell’aria stralunata, e volano sul mare sbattendo frenetici le ali corte, e non importa se fanno dei versi lamentosi che sembrano boh, un ingranaggio che gira male, o un lamento dell’isola tutta… Donatella diceva che avrebbe voluto portarsene uno o due a casa, da mettere in giardino a Sanremo, e ovviamente non si può, ma davvero veniva voglia di non limitarsi a fotografarli ma di prenderli in mano e coccolarli, così carini, così seriosi, così buffi.

La giornata a Skellig è stata la più benedetta da Dio che si potesse sperare (la parte “mistica” di me ama pensare che ci sia stata l’intercessione di mio padre recentemente salito fra le anime del Purgatorio, ma razionalmente mi limito a rallegrarmi con Giove non-Pluvio): mentre Genova e la Liguria erano afflitte da un tempo che per sms ci è stato definito “autunnale”, là sulla costa atlantica dell’Irlanda meridionale c’erano almeno 22 gradi, un sole degno della migliore Sardegna estiva, il mare (ma non un mare qualsiasi, l’Oceano Atlantico) piatto e calmo e blu, l’aria limpida sino all’orizzonte, le foche a crogiolarsi al sole sugli scogli, le sule in volo radente sulle acque come “ruah Adonai” – lo spirito del Signore – prima della creazione del mondo, e insomma è stata davvero una bella gita, quella in barca a vedere le puffins. In barca per tre quarti d’ora con altre dieci persone e il barcaiolo guercio, 9 miglia di mare, poi a piedi su per i 600 e sübbia gradini dal piccolo approdo ai “nuraghi” dell’antico monastero altomedievale a 200 metri di quota. Fra puffins abituate (o rassegnate) all’orda di turisti fotografici, fra gabbiani nidificanti in chiassoso scagazzante condominio, fra panorami di rocce ed erbe basse che sembrano le vallate alpine sopra i 2000 metri e invece siamo appena sopra il mare.

Donatella aveva fortemente voluto questo ritorno in Irlanda proprio sperando di riuscire, stavolta, ad andare alle Skellig a vedere le puffins, che l’anno scorso il giorno in cui avremmo dovuto c’era una nebbia che Anna aveva visto lungo la strada di Valentia Island mezza mucca, l’altra metà scomparendo appunto nella foggy mist. MA QUEST’ANNO!!!!!!!!!! Ne è davvero valsa la pena. Che è un modo di dire: non è stata nessuna pena, anzi!

Le isole Skelling sono tre: una è uno scoglietto insignificante, una è questa dei monasteri in pietra e delle puffin, visitabile, e la terza è vicina a questa e un poco più grande: non ci si sbarca, la si guarda da vicino e se ne resta sgomenti e affascinati. Cioè, io ne sono rimasto affascinato e inquietato insieme: so bene che ce ne sono centinaia di “isole degli uccelli” negli oceani del mondo, ma questa è stata la prima che vedevo da vicino…. una meraviglia e un incubo insieme: già le falesie condominiali dei gabbiani di Skellig Michael sono particolari, con decine di nidi vicini e le coppie di gabbiani che covano e volano intorno con quelle vociaccie che hanno i gabbiani (e vi assicuro che vivendo a Sanremo di voci, suoni e grida di gabbiani ne sappiamo parecchio). Ma l’altra isola è… beh, bisogna vederla, e chi di voi l’ha vista, o ne ha visto una analoga altrove, capisce cosa intendo. Intanto ti colpisce l’odore di guano che riempie l’aria già a centinaia di metri prima di avvicinarla; poi gli uccelli che le volano intorno in aria e a pelo d’acqua, gabbiani e sule e che altro c’è che nidifica lì. Poi i suoni, le strida, i gridi, i barriti, i nitriti, che cavolo di suoni emettono ‘sti uccelli roteanti. E poi il numero! Sono migliaia, non ho idea di quante coppie di uccelli nidifichino su ‘sto scoglione roccioso e privo di qualsiasi vegetazione ma sono tante, tante, tantissime, tutte insieme, tutte a imbiancare di guano la roccia, tutte a volare, a turno, intorno all’isola e sulle onde in cerca di cibo per sé e per i piccoli, e sono tantissssssssssssimi uccelli tutti insieme. Hitchcock, il primo pensiero che viene è per lui. Il secondo che mi viene è per una notizia di pochi giorni fa, che nel cimitero della Foce di Sanremo (lo Staglieno locale, coi monumenti importanti) ci sono gabbiani reali che hanno nidificato e assalgono i visitatori, tanto che hanno dovuto chiudere l’accesso alle zone del cimitero dove ci sono i nidi. Il terzo pensiero che ho, ripensando a quell’isola folle di uccelli, è che la natura è davvero una meraviglia, di meraviglie. Quelle due isolette, ciascuna a suo modo, sono due meraviglie.
Sulle scogliere in basso, a pelo d’acqua, nella portineria del gigantesco avio-condominio, ci sono le foche che prendono il sole oziose.

Torniamo indietro dalla giornata delle puffin, orsù…

Valentia Island…. non è famosa turisticamente, là all’estrema punta del Kerry, ma è una bella, selvatica isoletta, a vederla senza nebbia: bei panorami, bei prati, bel B&B dove siamo tornati perché ci eravamo trovati bene last year… simpatico il pub solitario perso in fondo ai prati di fronte all’oceano che sulla facciata porta scritto “next pint New York”.

Siamo partiti da Belfast, città di HRM Elizabeth II, che Dublino già ce l’eravamo goduta l’anno scorso, ma soprattutto per andare alla Giant’s Causeway, i colonnati di basalto sul mare, prismi esagonali di roccia fra prati e mare, patrimonio Unesco (come Skellig e come Via Garibaldi qui a Genova) e anche lì è stata una bellissima giornata, tutta la mattina a camminare sotto il sole fra ‘sta lava bizzarramente geometrica e i prati intorno. Ci sono colonne che affiorano solo alla cima e altre che s’innalzano contro la collina per più dieci metri…

Avevamo riempito le valige di golf, ombrelli, giacche a vento, ricambi, e per fortuna non ne abbiamo avuto bisogno. Solo poca pioggerella e poco vento i primi giorni nel profondo nord dell’Ulster e del Donegal, sotto gli alberi della verdissima Glenariff Forest, sulle rocce del Malin Head all’estremo nord dell’isola, sulle precipiti scogliere di Slieve League e intorno all’anfiteatro di pietre preistoriche di Grianan Ailigh (citate da Claudio Tolomeo nel suo celebre mappamondo!) ma per il resto nuvole asciutte o sole schietto.

Incontri zoofili simpatici ne abbiamo avuti non solo con le pulcinelle volanti: sulle curve del Marmore Gap, profondo Donegal, una strada che pare il Volterraio dell’Elba, c’è una capra cornuta e barbuta che chiede leccornie alla auto che passano. Si è infilata nella nostra auto dalla porta che era stata aperta per fotografarla, e non c’era verso di mandarla via. Donatella l’ha convinta a uscire offrendole uno di quelle – a mio parere – schifose caramelline gommose colorate chimicamente a forma di orsetto che a Dona talvolta incresciosamente piacciono… Anche all’Irish Goat sono piaciute, per fortuna. Certo, eravamo in tre, quindi un posto per un passeggero in più l’avremmo comunque avuto, ma la sera, al b&b, chiedere un letto anche per la capra sarebbe stato imbarazzante…

Pecore ovviamente tante, ma la scorpacciata fotografica che c’eravamo fatto già l’anno scorso ce le ha fatte sembrare più ovvie, meno interessanti. Comunque sempre graziose, coi loro musetti neri. Ah, anche tante mucche, con vitellini (e con tanta puzza di letame, lo useranno per concimare le torbiere?)

Fra Derry/Londonderry e il Donegal non c’è nessuna forma di confine di stato. Tutta Irlanda, che sia Regno Unito o che sia Eire. Uniche differenze, i cartelli delle velocità sulle strade che avvisano “km/h” o “miles per hour” e tu capisci se sei in IRL o in UK. Poi certo, se la benzina e la birra le paghi in pounds è Ulster UK, se ti chiedono gli euro è Irlanda.

Varie altre cose belle, il lago di Sligo dove Yeats andava a meditare, ottimo per passeggiare fra gli alberi delle sue rive, e qualche austero rudere di abbazie in pietra, Quinn, Boyle… Poi i frastagliati splendidi panorami costieri del Kerry, ma in fondo sono piacevoli anche le più banali campagne dell’interno, quelle con alberi e campi che potrebbero essere in qualunque parte dell’Europa centrale; mica si capisce che è Irlanda, se non ti fermi in una qualsiasi cittadina dalle case colorate e vai al pub. Allora si, lo capisci dove sei.

Rimane sempre eccellente la birra Guinness, in assoluto la più dissetante fra tutte le birre di qualunque origine, tipo, colore e nazionalità che io conosca. La Murphy’s di Cork, stout molto simile alla nera di Dublino, senza offesa per i corkesi ma mi sembra un po’ meno interessante.

Cork, che essendo l’ultima sera già con la mente rivolta al ritorno a casa ce le siamo goduta poco e male, a ripensarci a mente fredda meritava più attenzione. Come Belfast all’inizio e Derry a metà, ma effettivamente si era partiti soprattutto per la natura, Giant’s Causeway, Skellig-puffin, spiagge e coste del Donegal… e le città sono rimaste un po’ in secondo piano già da subito. Va beh, l’anno prossimo a Dio piacendo cambieremo meta, io vorrei ritornare – dopo 23 anni – ai castelli della Loira, ma prima o poi un altro po’ d’Irlanda ci starà.

Altre cose da raccontare ce ne sarebbero, ma poi diventa troppo lungo e vi annoiate quindi basta così.

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