Non è blasfemia, questo mio parafrasare il passo evangelico sull’indissolubilità del matrimonio religioso (Mt 19,6 e Mc 10,9): semplicemente io sono convinto che di fronte al Creatore dell’Universo siamo tutti – umani, animali, vegetali – suoi figli amatissimi per cui non ci trovo niente di male nel travasare su creature non-umane concetti, idee e categorie mentali e sociali tradizionalmente riferite a Homo sapiens. Ad esempio, ci sono diverse specie animali che “si sposano” nel senso che quando mettono su famiglia poi rimangono fedeli e monogami finché morte non li separa. Columba livia (il normale piccione di città) è uno di questi.

Tra i palazzi e le strade del quartiere di Genova dove vivo la mia mezza vita genovese ci sono – come in qualunque altra realtà urbana del mondo – parecchi piccioni. Va detto che l’avifauna locale è piuttosto numerosa, vuoi anche per l’abbondanza di giardini pubblici e privati arrampicati sulla collina: ci sono merli, uccellini canori di piccole dimensioni che non saprei definire, tortore, gazze, gruppi di chiassosissimi pappagalli verdi, in estate frotte di rondoni, persino un paio di gabbiani reali stanziali, addomesticati da Walter il Ciabattino, ameno personaggio quasi paragonabile per bizzarria a Carla la Giornalaia. Chi li conosce mi può capire.

Io negli anni ho tentato di ricreare sui due balconi di casa un modellino in piccolo del giardino di Sanremo e più o meno ci sono riuscito: entrambi i balconi sono da tempo ricchi di vasi e di piante; ogni tanto qualcuna defunge perché porto qui da Sanremo qualcosa che là sovrabbonda ma non tutta la flora sanremese, nata e cresciuta a due passi dal mare della Riviera, resiste bene ai (se pur minimi) rigori invernali dei 150 metri di quota con tramontana che ci sono qui. Comunque ‘sti due balconcini sono piuttosto selvosi, si. Tanto selvosi che piacciono anche a qualche piccione, nelle ultime due estati ci sono state tre nidificazioni portate a conclusione con successo, in un angolo particolarmente nascosto della “selva”. Vivi e lascia vivere, ho lasciato vivere e loro quando si sono involati se ne sono andati e ormai non disturbano più degli altri che già c’erano in giro.

Ma ciò che mi ha fatto venir voglia di parlar di piccioni in queste “vite minori” è un episodio accaduto alcune sere fa. Una di queste ancora rare sere veramente autunnali, umide e fredde, un po’ piovose e ventose: sul balcone della cucina c’è un brutto ma utile mobiletto in ferro portascope portaattrezzi, sopra il quale ho messo un vaso con una pianta ricadente cercando di ingentilirlo un po’. Quella sera andando a tirar giù la tapparella avvolgibile della finestra ho visto che accucciati sopra il vaso c’erano due piccioni: erano stretti uno accanto all’altro, visibilmente infreddoliti, e il più grosso dei due (il marito?) dava piccoli colpetti col becco delicatamente alla “moglie” che stava ferma con gli occhi socchiusi, sembravano carezze. Sono sicuro che erano carezze. Mi hanno fatto tanta tenerezza, ho sussurrato un buonanotte che loro certamente non hanno sentito e ho cercato di tirar giù l’avvolgibile lentamente e senza rumore, sperando che non scappassero e rimanessero lì insieme al riparo dall’umidità e dal vento della notte.

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