Bogliasco, il mare a levante di Genova

Rivista: Notiziario
Editore: Banca Popolare di Sondrio
Luogo di pubblicazione: Sondrio
Data: dicembre 2014, anno XLII, n°126

Categoria: Tag: , ID:1060

Descrizione

Il mare grigio e trasparente rumoreggia piano contro il calcare scuro degli scogli imbiancati da lunghe vene di calcite cristallina, e piccole onde schiumose si frangono con un “ruaff” simile al ringhio di un cagnolino; sulle alghe abbarbicate agli scogli zampettano minuscoli granchi neri. Nuvole color arancio nascondono a ponente le Alpi Liguri lontane, dietro alle case rosa e verdi del paese raccolte intorno alla spiaggia. Un gabbiano rasenta le onde alzando grida lamentose verso un gozzo di pescatori affaccendati con lenze e reti; piccole meduse marroni vagano nella corrente costiera, indifferenti a una canoa che avanza nella striscia d’acqua abbagliata dal sole calante. Una coppia sdraiata sugli scogli chiacchiera e sorride, ogni tanto un bacio e una carezza; in piedi sullo scoglio più alto due uomini lanciano in controluce lunghe lenze verso l’acqua, rimangono immobili e silenziosi nell’attesa di un pesce che abbocchi; uno studente legge e prende appunti sdraiato sul muretto, di tanto in tanto alza lo sguardo verso il mare… è un tramonto di fine gennaio a Bogliasco.

Al chilometro 513,560 della via Aurelia, la lunghissima Strada Statale 1 che collega Roma con Ventimiglia e la Francia, un elegante cippo in cemento dell’Anas con decorazioni un po’ retrò segna il confine tra Nervi, estremo quartiere di levante di Genova, e il piccolo comune di Bogliasco. Stesse case basse e colorate, stessi giardini mediterranei di qua e di là, ma la città si dimentica in fretta, ché Bogliasco è un paese, un vero borgo di mare, di quel mare odoroso di olivi e di ginestre che chiamano Ligure. Paese di pescatori e di contadini, emblema di questa terra, la Liguria, in cui il rischio dell’andar per mare non è mai stato disgiunto dalla fatica del coltivar la terra. Barche che riposano sulla spiaggia ciottolosa, all’ombra dei tre, anzi quattro ponti che sorvolano e abbracciano questo come altri borghi della Riviera Ligure di Levante: a ridosso della spiaggia il ponte in pietra che si vuol romano, poco indietro e più alta l’arcata della ferrovia; all’altezza dei tetti il viadotto dell’Aurelia; ultimo, il più giovane, lontano, nascosto tra il verde della breve valle, il viadotto dell’autostrada, ma da lassù dell’esistenza di Bogliasco quasi non ci si accorge.

Invece giù… il ponte “romano”, anche se è più facile crederlo medievale, sfida secoli e salsedine sotto lo sguardo dei muri intonacati a tenui colori delle vecchie case del borgo, con le finestre delicatamente decorate; e sotto la schiena ben arcuata del ponte scorre il torrente. Beh, per un torrente ligure “scorrere” è un verbo impegnativo e ambiguo: diciamo che sotto il ponte c’è un letto di sassi quasi asciutti, con un rigagnolo d’acqua che si fa strada fra erbe incolte e papere sfaccendate e si mescola infine alla sabbia ghiaiosa della spiaggia. Poi, ogni tanto, insieme ai suoi fratelli della Riviera, viene colto da un furore divino e diventa un vero fiume, tumultuoso, grigio e iracondo, travolto dallo “scciuppùn de futta” (“scoppio d’ira” in dialetto genovese) delle piogge autunnali, cruccio e flagello della fragile terra ligure. Poi basta: cessa il diluvio, l’acqua di tutti i fiumi finisce al mare, che pur non è mai pieno, come constatava con disilluso stupore Qohèlet, e sotto il vecchio ponte ritornano a zampettare sui sassi asciutti volatili di varia specie.

Un po’ in alto, quasi in cima al borgo vecchio, dalla seconda metà del Settecento troneggia la barocca chiesa della Natività di Maria Santissima, col suo alto campanile e il sagrato decorato a risseu; e qui forse urge spiegare ai non liguri cosa siano i risseu: sono i mosaici di ciottoli, ciottoli rotondi di mare o di fiume, posti da mani di dilettanti artisti di paese, da marinai dotati di senso estetico, a disegnare con motivi geometrici, religiosi o profani i sagrati di chiese e conventi, e qualche piazzetta. Mosaici in bianco e nero, come qui, o più raramente policromi, con intrusioni di rosso, di grigio.

Si diceva del Settecento ma una chiesa c’era anche prima, qui, forse dal 1100. Non si sa molto di questo primo luogo di culto, se non che ancora nel pieno Cinquecento era efficiente e funzionante. Ma la Controriforma non è passata invano, e ci ha lasciato eredi di statue, altari e volte ben affrescate col “solito”, se si può dir così, svolazzare di angeli, santi e anime belle da osservare a naso in su. La posizione della chiesa, alta sul paese e a picco sul mare, in un tempo ormai lontano poteva tornar utile per avvistare le vele dei pirati barbareschi quando apparivano all’orizzonte, oltre il “naso” verde e tozzo del monte di Portofino, che chiude a levante il Golfo Paradiso. Nell’Alto Medioevo, e di nuovo tra Cinque e Settecento, i saraceni facevano scorrerie e razzie su tutte le coste liguri, la stessa Genova fu saccheggiata, nel 931. Per difendersi i bogliaschini eressero nell’XI secolo una fortificazione proprio sugli scogli alla foce del torrente. Passato il pericolo barbaresco, e fino al XIX secolo, il Castello fu adibito a torre di controllo sanitario. Oggi è una casa di civile abitazione ben decorata, ed è difficile rendersi conto del suo passato guerriero.

E sopra? Sopra il paese, sopra la statale e la ferrovia, la collina è una collezione di muretti a secco che sorreggono le fasce un tempo coltivate ed oggi coperte di rovi e olivi, muri di calcare asciutto con cui per secoli la cocciutaggine dei contadini liguri tentò di rendere piano ciò che la natura fece obliquo, di fare orizzontale ciò che Dio volle verticale. Pietre e terra da coltivare, portata a spalla e a dorso di mulo per farvi crescere olivi ma anche un po’ di grano, e patate, e limoni, a volte qualche vite. Oggi di contadini ne son rimasti pochi, ginestre e lecci hanno riconquistato le posizioni perse nei secoli di dignitosa povertà agricola. Ora il segno dell’attività umana in quota rimane solo intorno alle frazioni di mezza costa, raggiunte sia dalle creuse, le vecchie mulattiere pedonali antiche quanto le fasce, sia, e più comodamente, da tortuose strade asfaltate.

Un alveare di case color mattone, rosa e giallo pallido. San Bernardo è una delle tre frazioni di collina di Bogliasco, e con Poggio e Sessàrego nacque, un incerto numero di secoli fa, probabilmente per offrire difesa ai bogliaschini medievali dalle scorrerie saracene. Tre mucchietti di case intorno ai 200 metri di quota, un panorama che spazia, con l’aria limpida, dalle Alpi Marittime alla Corsica. Una strada stretta e tortuosa le collega al mondo, non ripida ma poco praticabile per le auto larghe e silenziose che sfrecciano nelle pubblicità televisive. Nonostante il mare sia proprio lì sotto, qui l’aria profuma di gelsomino e di fieno appena tagliato, il rosso delle ciliegie macchia il verde argenteo degli olivi. Dopo il borgo la strada si infila nella macchia ruvida e si fa sentiero sotto l’ombra nera di grandi lecci. Su, verso gli 800 metri del crinale di Monte Cordona, rade pinete macchiano pendii erbosi che in primavera si accendono del giallo violento di centinaia di ginestre in fiore.

A mezza quota tra i lecci delle alture e gli scogli della costa, numerose ville, alcune del XIX secolo e di grande pregio, punteggiano le fasce coltivate a ulivi. La seconda metà dell’Ottocento fu il periodo d’oro del turismo elitario ed elegante di nobili e gentiluomini inglesi, russi e tedeschi, che venivano in Riviera a svernare, fuggendo dalle nebbie di Londra e dal gelo climatico e politico di San Pietroburgo. A Bogliasco soggiornò e morì, nel 1898, Constance Lloyd, moglie di Oscar Wilde, sepolta nel cimitero di Staglieno a Genova. Allora il paese era un po’ più piccolo, c’erano meno automobili, figuriamoci i motorini, e la gente osservava con un po’ di disagio l’obiettivo fotografico che riprendeva col suo occhio bicromatico, seppia e avorio, la vecchia e celebre gelateria, non molto diversa da com’è oggi.

Eredi odierni di quei gentiluomini mitteleuropei sono i molti genovesi e i non pochi lombardi che vengono a Bogliasco per godere delle gioie marine dell’estate, sdraiati sotto gli ombrelloni delle due spiagge del paese o arrampicati sulle scogliere che le delimitano. Finita l’estate le famiglie di pianura se ne vanno, lasciando ai vicini genovesi la possibilità e il piacere di frequentare Bogliasco tutto l’anno, per conoscere e amare il mare non estivo, il mare più vero e sincero, il mare freddo e limpidissimo dell’inverno, quello primaverile su cui galleggiano le nuvole gialle del polline dei pini marittimi e il mare tiepido e talvolta tumultuoso dell’autunno.

Via Fontana è un vicolo stretto che scende tra case colorate e giardini verdi di buganvillee e limoni; in fondo c’è una fessura di luce che abbaglia gli occhi nel contrasto tra il blu verdastro del mare e l’azzurro del cielo, separati dal grigio della scogliera dove d’estate graziose signore e affermati avvocati offrono al sole seni abbronzati e petti villosi. Ma in questo pomeriggio di novembre nessuno si azzarda a fare il bagno e ad abbronzarsi, nonostante splenda il sole nel cielo tersissimo senza una nuvola. Oggi il libeccio soffia nervoso e fresco e ha svegliato il mare, lo ha reso bellicoso e violento, desideroso di ricordare agli uomini chi è che comanda, quando vuole, qui in Riviera. Oggi le onde squassano la piccola baia della Fontana, riempiono le orecchie con un ringhio senza fine, coprono d’acqua grigia le barche tirate in secco, riempiono di pulviscolo salato i giardini e i limoni. Ogni cinque minuti un rombo di valanga sale dall’orizzonte e due onde più alte delle altre, due muri di sei metri d’acqua nera, piombano sulla riva, sommergendo di schiuma plumbea scogli, barche, fontana, giardini, gettando manciate di sale attraverso le finestre sprangate sino nei letti e nei salotti delle case più vicine, infradiciando i volti e i vestiti dei temerari che si accalcano nel vicolo immobili e muti e non sanno andarsene, affascinati dall’ira del mare. Una voce con uno spiccato accento genovese dice che erano dieci anni che non si vedeva una mareggiata così. A Bogliasco si viene soprat tutto per conoscere e gustare la natura della Riviera Ligure, fatta di mare ma anche, e molto, di colline e montagne.

Il clima è mitissimo: mai nebbia, mai gelo, temperature superiori a quelle di Genova, minor umidità rispetto alle località più celebri del vicino Golfo del Tigullio; si possono fare bagni in mare tranquillamente da maggio a tutto ottobre (e anche oltre, se non si è troppo freddolosi) e ci sono giornate in cui si riesce a prendere il sole in costume persino in gennaio.

Le colline alle spalle del paese offrono una buona rete di sentieri escursionistici lungo pendii (piuttosto ripidi per la verità) che alle basse quote ospitano serre dove si coltivano orchidee e piante grasse e più in alto conservano tracce delle antiche fasce che furono coltivate per secoli e oggi sono coperte da ginestre, prati e boscaglia dimora di volpi e cinghiali; da lassù si può ammirare quasi l’intera Liguria e tutto il Mar Ligure sino alla Corsica, se l’aria è limpida. Un buon punto di osservazione sul mondo è la chiesetta di Santa Croce, in cima alla collina omonima, raggiungibile a piedi sia da Bogliasco, sia, più comodamente, dalla vicina località di Pieve Alta.

Siccome la mente è sana se il corpo è sano, a Bogliasco sono praticabili tutti gli sport legati al mare, dal nuoto alle immersioni alla pesca sportiva, dalla vela alla canoa al surf; le condizioni climatiche generalmente miti permettono di sfruttare tutti i mesi dell’anno per gli sport marini; sono presenti inoltre una piscina coperta, campi da tennis e da calcio di ottimo livello (sulle alture del Poggio si allena la Sampdoria).

Le colline erbose e battute dal vento che sovrastano Bogliasco sono percorse dall’antica pista mulattiera che collegava la val Fontanabuona con Genova, scavalcando i prati del Monte Cordona, ancor’oggi terra di pascolo per maiali semibradi e pecore. La Fontanabuona è la valle del torrente Lavagna, la “fiumana bella” cantata da Dante nel XIX canto del Purgatorio, che scende al mare con un percorso parallelo alla costa, sfociando col nome di Entella fra Chiavari e Lavagna. Quella pista oggi si chiama “Itinerario Storico Colombiano” perché da lì scendevano sulla costa, a Quinto, i pastori, lanaioli e artigiani della valle per andare a lavorare o a commerciare a Genova e tra questi fontanini che si urbanizzavano, nel XV secolo, ci fu anche il nonno, o comunque qualche antenato, di Cristoforo Colombo.

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